di Dominga D'Alano

Angelo Calianno: la vita coraggiosa di un reporter di guerra
BARI - Angelo Calianno (nella foto) ha 32 anni, è di Cisternino ed è un giornalista free lance. Che tipo di articoli scrive? Reportage di guerra. Negli ultimi anni è stato in Sierra Leone, Mali, Syria, Palestina, El Salvador, Bolivia, Ghana, Cile e i suoi racconti sono stati pubblicati da Peacereporter e Vociglobali. A ottobre partirà per l’Iran, passando per l’Afghanistan.  

Da dove nasce la scelta di una destinazione di viaggio?

Mi affido al caso, alle cose che leggo e alle persone che incontro, anche se principalmente cerco mete che mi consentano di raccontare le storie di cui tutti gli altri non parlano, per paura o indifferenza. Per caso ho iniziato a viaggiare ma non per caso ho iniziato a scrivere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La prossima meta?

Il programma prevede un biglietto di sola andata per Istanbul, da lì via terra cercherò di arrivare in Iran, attraverserò i villaggi del deserto fino ai confini con l'Afghanistan. Questa zona  è tristemente nota per i rapimenti di occidentali a scopo di riscatto o scambio prigionieri, ma non mi fermo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Cosa non può mancare nel tuo zaino?

Corde, moschettoni e libri che raccontano le storie del Paese in cui mi trovo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

C’è un viaggio che avresti voluto fare e non hai ancora fatto?

Sì, Sud Sudan e Sudan. Mi fa rabbia vedere che si sia scritto davvero così poco all’ombra delle tragedie che lì si stanno consumando.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un ricordo che proprio non riesci a cancellare?

Non è un ricordo, ma un odore. La morte puzza, l'odore di carne bruciata ti rimane nelle narici per settimane. Non scorderò mai i pezzi di corpi umani sparsi qua e là per una strada in Palestina.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La cosa più assurda che ti sia successa?

Una volta mi trovavo al confine con la Liberia quando un gruppo di ragazzi armati mi "chiese" di aiutarli a passare il confine, perché dovevano arrivare in Gambia. Avevo paura di morire o restare prigioniero, ma poco dopo mi accorsi  che ognuno di loro aveva tatuato il numero “7” sul dorso. Anche io ho quel tatuaggio. Penso che quella circostanza mi abbia salvato la vita, perché proprio "7" era il simbolo del loro gruppo. Un’altra volta, a Nablus, prima di rientrare nella casa dove alloggiavo mi fermai in un negozio di kebab, poi uscìì. Qualche minuto dopo il locale fu devastato da un'autobomba e lì morirono tre persone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La storia che hai raccontato con più passione?

Quella che  mi ha fatto più soffrire, la storia dei desaparecidos in Sud America.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I Paesi che racconti sono spesso dilaniati dalla guerra. Non hai paura di non riuscire e tornare a casa?

Ho sempre paura, prima, dopo, durante un viaggio. Ho paura di morire, di rimanere prigioniero. Ma la paura è un sentimento sano, ti rende vigile, ricettivo e meno stupido. Mi capita spesso di pensare a Vittorio Arrigoni (morto a Gaza nel 2011, ndr) e a quelli come lui. Lo contattai una volta per sapere come entrare a Gaza, mi diede alcune dritte, ma non ci conoscemmo mai di persona, non facemmo in tempo. E’ solo un attimo quello che fa la differenza tra la vita e la morte. Quelli “come noi” non sono eroi, ma cantastorie.


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