Il fotografo Ferdinando Scianna: «Noi siamo le persone che incontriamo»
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lunedì 27 ottobre 2014
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di Katia Moro
Si tratta di una raccolta di 370 ritratti, tutti rigorosamente in bianco e nero, che l’autore ha scattato nel corso della sua lunga carriera. Ogni scatto è affiancato da un breve testo scritto dallo stesso Scianna per testimoniare un suo ricordo personale, un aneddoto relativo alle sensazioni provate nel momento dello scatto. In questa fusione di immagini e parole, l’autore fa immergere il lettore in un’ampia galleria che raccoglie i ritratti di alcune delle più grandi personalità del nostro tempo: da Leonardo Sciascia a Italo Calvino, da Jean Paul Sartre a Martin Scorsese, passando per il Dalai Lama, Giovanni Paolo II, Michail Baryšnikov, i Beatles e i fotografi Henri Cartier Bresson e Gianni Berengo Gardin. Ma a questi “vip” sono affiancati e mescolati i volti delle persone “normali” che Scianna ha incontrato nel corso della sua esistenza: la sua mamma, i suoi famigliari, i suoi compagni di classe, il suo portinaio. (Vedi foto galleria). Abbiamo intervistato l’autore, intervenuto a Bari mercoledì scorso in un incontro al Cineporto organizzato dall'Apulia Film Commission e dalla scuola di fotografia F.project.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
“Visti&Scritti” sembra essere il consuntivo di un'intera esistenza...
Alla veneranda età di 70 anni e dopo circa un milione di fotografie scattate avevo il diritto di pubblicare una selezione dei miei ritratti preferiti. In realtà questo volume è solo l’ultimo atto di una trilogia dopo “Quelli di Bagheria” e “Ti mangio con gli occhi” , che con quest’ultimo compongono il mio “trittico della memoria”. Il primo era una raccolta di scatti, con le annotazioni a margine che lo trasformano in un diario personale, scattate prima della scoperta della mia vocazione di fotografo e racchiude tutti i ricordi della mia infanzia e adolescenza vissute nel mio paese di nascita, Bagheria. Il secondo, “Ti mangio con gli occhi”, rappresenta anche questo una fusione di testi scritti e immagini con cui rievoco i gusti, i sapori e gli odori che hanno caratterizzato la mia vita soprattutto da quando per esigenze lavorative ho dovuto abbandonare la Sicilia e le sue meravigliose pietanze.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quindi ha concluso un suo personale viaggio nella memoria?
Sì, “Visti&Scritti” è l’ultima tappa di un percorso interiore. Avevo un sogno ricorrente: entravo in una piazza gremita e scoprivo che c’erano tante persone, quelle attraverso le quali ho vissuto la mia vita. I vivi, i morti, i miei cari, gli amici, i tanti maestri. E in tutti mi riconoscevo. Quella piazza è diventato questo libro. I 370 ritratti più significativi tra quelli da me scattati, che compongono un unico autoritratto: la storia della mia vita che è la storia degli incontri che mi hanno segnato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quali sono stati gli incontri più significativi?
La fortuna di ogni uomo è nelle mani di un altro uomo. Io sono stato fortunato perché ho incontrato esseri davvero speciali e la mia unica bravura è stata quella di saper attingere da loro il più possibile. Parlo ad esempio del mio più grande maestro, angelo paterno e amico: Leonardo Sciascia. Quando l’ho conosciuto, nel 1962, avevo solo 19 anni e avevo già iniziato a fotografare, ma lui mi ha fatto correttamente interpretare retrospettivamente la mia vita, mi ha insegnato a darne un senso. Da lui ho imparato la dirittura morale, l’onestà intellettuale, il dono dell’amicizia e l’importanza della cultura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È stato l’unico maestro?
No. Nel campo della fotografia il mio maestro assoluto è stato Henri Cartier Bresson, colui che mi ha permesso di divenire il primo fotografo italiano ammesso nella Magnum photos (la più importante agenzia del mondo fondata nel 1947). È stato lui ad insegnarmi che il vero fotografo è colui che è capace di mettere esattamente su una stessa asse la testa, gli occhi e il cuore. Mi ha fatto capire che la fotografia è un obiettivo ambiguo, è geometria e passione: l’eterno ossimoro della realtà e della sua interpretazione. Ma tra i miei grandi maestri io annovero sempre anche il portinaio dello stabile dove si trova il mio studio di Milano, il cui ritratto chiude il libro. Quest’uomo che ha dedicato l’intera vita al lavoro, tra affanni e ristrettezze, mi ha insegnato molto. Ogni volta che i miei malanni e le mie stanchezze prendono il sopravvento, penso a lui e questo mi aiuta a rimettere le cose nella giusta prospettiva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In questa raccolta ha inserito anche i suoi familiari.
Tra noi autori spesso c’è una certa ritrosia a rendere pubbliche le nostre fotografie private. Ma io conservo gelosamente tutti gli scatti di compleanno delle mie bambine, le fotografie di tutte le mie fidanzate e dei familiari oramai morti. In questa pubblicazione ho voluto inserire anche mia madre, mia sorella, le mie figlie e altri ancora. Probabilmente la figura più importante nella mia vita è stata quella di mio padre, anche se il nostro rapporto è sempre stato segnato dalla contrapposizione e dal disaccordo, ma sono forse questi i legami che ci segnano di più. Anche lui è stato a suo modo un mio maestro, anche se forse soprattutto un maestro di “paura”. Ma senza di lui non sarei quel che sono.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dunque il volume rappresenta una specie di album personale.
Esattamente. E la maggior ambizione di uno scatto è quello di entrare a far parte di un album di famiglia. La fotografia come dice Roland Barthes, altro mio grande maestro presente nel volume, non è arte, non è oggetto museale, è “tragica traccia di vita, di realtà”. Si suole dire quando si fotografa qualcuno: “ti immortalo”. Un’iperbole che è il residuo del mito faustiano che gli uomini da sempre inseguono: fermare il tempo, non fosse che per un istante. Un’affascinante illusione perché anche la fotografia è materialmente soggetta al trascorrere del tempo, può distruggersi, scomparire e non lasciare traccia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma allora qual è il vero compito della fotografia?
Quando esposi per la prima volta le fotografie del volume “Quelli di Bagheria”, a Lugano, mi si avvicinò una donna svizzera evidentemente commossa. Si era immedesimata e riconosciuta in quelle immagini della mia infanzia e adolescenza siciliana. Lei, una donna nata in Svizzera. Questo mi fece capire che il ruolo della fotografia, come della scrittura o di qualunque forma d’arte capace di raccontare è quello di permettere a chiunque di riconoscersi, di potersi rispecchiare. Quante volte abbiamo ascoltato la frase: “la mia vita è un romanzo, se sapessi scrivere, lo scriverei”. Ebbene, il compito degli artisti è quello di scrivere quel romanzo. Di “parlare” al posto di chi non ha gli strumenti per farlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Scritto da
Katia Moro
Katia Moro