di Livia Sorrenti

Dagli incantesimi d'amore alla protezione dei neonati: alla scoperta degli antichi riti magici
BARI – In passato ci siamo spesso occupati dell’antico cerimoniale magico diffuso sino a qualche decennio fa nel Sud Italia: un insieme di pratiche leggendarie che, anche se ormai quasi del tutto scomparse, continuano a far parte del “racconto” popolare. Vi abbiamo quindi illustrato la storia del “taglio dei vermi”, del potente “rito dell’affascino”, della guarigione praticata tramite “u’ scand” e del malocchio fatto con spilli e limone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutte usanze legate a varie manifestazioni del “negativo”, che si cercava di scacciare tramite formule e azioni preordinate. Ma oltre questi malefici e contro-malefici erano inseriti nel patrimonio popolare anche riti più “rassicuranti”, che avevano lo scopo di proteggere e di favorire la fortuna in ambito sentimentale e familiare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Con l’aiuto dell’importante volume “Sud e magia”, scritto nel 1959 dall’antropologo napoletano Ernesto De Martino, siamo andati a scoprirli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Incantesimi d’amore - Gli incantesimi d’amore erano impiegati per legare una persona a un’altra. Per compiere queste fatture ci si rivolgeva alle maciare, delle “streghe” che avevano venduto l’anima al diavolo in cambio del loro potere. (Nella foto una fattucchiera di Colobraro, paese in provincia di Matera famoso per le arti magiche praticate da alcune donne).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’uomo raramente ne faceva ricorso, perché un tempo era suo diritto scegliere, corteggiare e sposare una donna. Tuttavia nel raro caso di un rifiuto, una pratica conosciuta era la seguente: il pretendente deponeva una treccina di lana nel “saccone” dell’amata, ossia nel sacco di paglia posto tra il letto e il materasso. Il nodo era infatti simbolo di “legamento”: un modo per incatenare due individui a uno stesso destino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La tecnica veniva utilizzata in maniera ancora più diffusa dalle donne e sempre per lo stesso motivo. In questo caso la giovane prendeva un nastro e pronunciava una formula per tre volte effettuando tre nodi. Lo “scongiuro” andava ripetuto nel corso del tempo, sempre però nei mesi dispari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E se proprio il rito non andava a buon fine, le fattucchiere consigliavano l’arma “risolutiva”: il filtro magico. Quest’ultimo veniva preparato con gocce delle mestruazioni che poi veniva versato nel vino o nel caffè da offrire all’ignara vittima.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In alternativa il sangue lo ci si procurava pungendosi il mignolo. In questo caso però bisognava anche tagliarsi un ciuffo di peli dalle ascelle e dal pube, mescolando poi il tutto con il sangue da far seccare in forno. Al termine si otteneva una polverina che veniva portata in chiesa così da “consacrarla” durante la messa, al momento della Comunione, mormorando però uno scongiuro. Il prodotto così ottenuto veniva poi fatto bere all’uomo, che a quel punto sarebbe caduto tra le braccia della donna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine altra soluzione adottata per conquistare un giovane era quella di utilizzare la cosiddetta “pupa”: una figura di argilla o di pezza che richiamasse le sembianze della persona desiderata. La bambolina veniva trafitta al cuore con degli aghi mentre si recitavano apposite formule intese a catturare per sempre l’amore della vittima.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Riti per le nozze Una volta unita, la coppia non era certo “libera”: doveva infatti continuare a compiere una serie di pratiche beneauguranti che assicuravano loro prosperità.  

Prima della celebrazione delle nozze, ad esempio, all’entrata in chiesa i promessi sposi erano costretti a saltare sulla soglia e questo per non essere soggetti a fattura: perché sull’uscio poteva essere presente un “laccio”, un impedimento magico. Durante la celebrazione poi non dovevano immergere la mano nell’acquasantiera, per il timore che vi fosse disciolta una polverina affatturante. Infine a matrimonio concluso si festeggiava, immancabilmente, con dei mortaretti o meglio ancora sparando in aria dei colpi di fucile, così da scacciare gli spiriti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Poi una volta a casa per difendersi dal malocchio era fondamentale attrezzare la propria camera. Il vomere sotto il letto era garanzia di fecondità, mentre sotto il saccone del giaciglio nuziale dovevano essere nascosti sei acini di grano, un pizzico di sale, le forbici aperte, la falce e il setaccio (che suggerisce l’idea di trattenere la malignità). Le forbici (che era facile trovare anche scolpite all’esterno delle abitazioni) simboleggiavano il taglio dell’affascino: l’interruzione delle forze cattive.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ultima accortezza: era usanza durante la prima notte, sempre per allontanare il malocchio, deporre davanti alla porta un aratro o, peggio, la carogna di un animale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Cerimoniali per la protezione dei neonati – Per assicurare protezione ai neonati era necessario, al momento del loro primo bagnetto, unire l’acqua tiepida al vino, simbolo di buona salute e prosperità economica. Dopo l’immersione il liquido veniva gettato fuori dall’uscio di casa se il neonato era maschio o nella cenere del focolare se era femmina. Questa pratica nel primo caso rendeva propizie “le vie da percorrere”, nel secondo il focolare a cui la bambina doveva restare legata per tutta la vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

C’era anche un battesimo “alternativo” a cui dovevano sottoporsi i bebè. I familiari disponevano intorno alla culla una bacinella, un asciugamano e sette sedie, ognuna per le sette fate che avrebbero benedetto l’infante a mezzanotte in punto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In più per proteggere il bambino venivano utilizzati dei sacchetti magici, chiamati “abitini”. Di stoffa e per lo più a forma rettangolare, venivano appesi al collo (o appuntati con uno spillo a indumenti personali) del neonato, il quale li avrebbe poi portati anche per tutta la propria esistenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La dotazione dei sacchetti era varia e mescolava elementi pagani a quelli cattolici. Vi si poteva trovare un pezzetto di ferro di cavallo, un frammento di placenta, tre acini di grano e tre di sale, un pelo di cane nero, figurine di santi, un pezzo di corda della campana, spilli in croce appuntati su un pezzo di tela.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questi oggetti erano degli amuleti che avevano una funzione apotropaica. Ad esempio il ferro aveva il potere di allontanare i demoni, il nastro simboleggiava la possibilità di “legare” un eventuale fattura, gli aghi dovevano pungere il portatore di malie, il pezzo di corda della campana imbrogliava il malocchio, il sale e il grano erano simbolo di prosperità, l’immagine di un santo aveva una protezione religiosa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il contenuto subiva aggiunte nel corso della vita, in relazione a determinanti momenti: per esempio durante il periodo della dentizione si inserivano aguzzi e solidi denti di volpe. E questo perché la “magia”, non ti lasciava mai.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Immagine tratta dal libro “Sud e magia” (1959) dell’antropologo Ernesto De Martino


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