di Federica Calabrese

Le romantiche mongolfiere, c'è chi le fa librare in aria ancora oggi: ecco come
TRANI – Vennero inventate dai fratelli Montgolfier alla fine del 700 per il trasporto delle persone, anche se con il tempo furono utilizzate soprattutto durante la guerra come mezzi da ricognizione o segnalatori militari senza equipaggio. Parliamo delle romantiche mongolfiere, aerostati che si librano in cielo con il loro pallone colorato grazie alla spinta data dal gas.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Velivoli che, seppur entrati ormai in disuso, rappresentano ancora oggetto di venerazione per numerosi appassionati. Tra questi alcune associazioni sparse per l’Italia che continuano a prendersi cura di loro, dando la possibilità a chi lo desidera di poter montare su e volare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In Puglia ad esempio la compagnia “Mongolfiere al Sud Italia” si occupa di far navigare in aria questi palloni, che per poter funzionare hanno comunque bisogno di condizioni termiche adatte, grandi spazi per poter decollare, oltre a degli esperti in grado di pilotarli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Abbiamo incontrato i membri della compagnia a Trani, lo scorso 12 settembre, durante la manifestazione “Trani in Mongolfiera” organizzata dall’associazione Incanto e dedicata proprio a questi grandi mezzi aerei. (Vedi foto galleria)

Arriviamo in piazza delle Querce, di fronte al porto, alle 6 di mattina. È presto sì, perché il volo in mongolfiera è considerato ottimale proprio all’alba. «La spinta del pallone dipende dalla differenza tra la temperatura esterna e quella interna del velivolo – ci spiega Lello Verdura, pilota di aerostati da più di 15 anni -. Maggiore è il divario, superiore sarà la spinta. È preferibile quindi decollare all’alba o al tramonto, durante le ore più fredde della giornata».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È un altro pilota, Aldo Colonna, a dirigere lo scarico delle varie parti della mongolfiera da tre furgoni diversi, coordinandone le fasi di assemblaggio. La prima a venire messa a terra è la “gondola”: una cesta in vimini con rinforzi laterali in cuoio e metallo per attutirne gli urti. Al suo interno troveranno posto pilota, bombole e massimo quattro passeggeri. 


Poi viene tirato fuori il bruciatore, il vero e proprio motore. Simile a un grande lanciafiamme, riscalda l’aria sino ad oltre 100 gradi, grazie alla combustione del propano: un’operazione che permette al velivolo di sollevarsi in aria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine c’è il pallone: una grande vela di nylon dalle sfumature bianche e azzurre che, ancora floscia, è attaccata alla cesta grazie a delle robuste corde. L’aerostato è subito posto a terra in una posizione tale da essere a favore di vento. Per stabilirne la direzione si attacca un palloncino a un filo molto lungo: liberato in aria fa capire dove soffia la corrente. 

L’ultima fase è quella della gonfiatura. Per rendere la mongolfiera “piena” si utilizza un massiccio ventilatore, alla cui opera segue poi quella del bruciatore che spinge fuoco all’interno della bocca larga 4 metri di diametro. Quest’ultima azione permette all’aerostato di sollevarsi da terra, mostrandosi in tutta la sua altezza di 18 metri. In un attimo capiamo che guidarlo non deve essere certo una cosa da poco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ci sono delle vere e proprie scuole per piloti – sottolinea Lello -. Durante le lezioni si alternano ore di teoria a quasi 200 ore di pratica, quelle che servono per conseguire la patente. In tutto, in Italia, siamo in cinquanta ad avere il brevetto: un numero che difficilmente crescerà perché non sono molti coloro che desiderano praticare questo mestiere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È infatti molto rischioso guidare un aerostato. Il volo è passivo, viene operato sfruttando il vento e così in caso di condizioni meteorologiche avverse si rischia di perderne il controllo. Per questo si sale solo se il tempo è perfetto. E purtroppo è proprio il forte maestrale che non ci consente di poterci librare in aria con la mongolfiera che abbiamo davanti. Peccato, chissà come sarebbe stato bello andarcene a spasso tra le nuvole.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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