di Luca Carofiglio

Grumo, nella bottega del calzolaio Antonio: lì dove il tempo sembra essersi fermato
GRUMO APPULA – Un allargascarpe Toro, una lucidatrice di cinquant’anni fa e la sugghj. Sono solo alcuni degli antichi attrezzi presenti nella pittoresca bottega di Antonio Di Grumo a Grumo Appula: il 68enne è infatti uno degli ultimi calzolai "classici" rimasti in circolazione, di quelli cioè che riparano scarpe con arnesi tradizionali in luoghi di lavoro dove il tempo sembra essersi fermato. (Vedi foto galleria)

D'altronde si tratta di un mestiere in via d'estinzione, dato che ormai si usa gettare via le calzature rotte e comprarne subito un paio nuovo, magari dai cinesi. In pochi riescono ancora a camparci e in questi casi lo fanno solo dopo aver apportato radicali novità: in passato per esempio vi abbiamo raccontato della coppia bitontina che rimette a nuovo le scarpe in modo "itinerante" e di Paolo Del Drago, il giovane di Castellana Grotte che ha abbracciato la professione servendosi di una strumentazione più moderna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il singolare laboratorio di Antonio si trova nel centro storico del piccolo comune barese, in piazza Giulio Binetti. È ricavato in una vecchia costruzione in pietra che tra le due guerre mondiali era adibita a stalla, all'ombra del campanile della trecentesca chiesa di Santa Maria Assunta: praticamente una "cartolina" dal Medioevo. Siamo andati a visitarlo. (Vedi video)

Avvicinandoci all'entrata notiamo la sagoma dell'artigiano: è lì ad aspettarci sorridente sul ciglio, con una coppola e dei grossi occhiali in ferro adagiati sul naso. Indossa un camicione a quadri e un grembiule pieno di macchie di colla e tinture varie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ho cominciato a imparare sin da piccolo i segreti di questo lavoro da un maestro che oggi ha 100 anni - esordisce l'anziano -. Fu lui a lasciarmi la sua bottega quando partì in America, anche se dopo un po’ di tempo, negli anni 70, anch’io interruppi il mestiere per emigrare a Francoforte assieme a mia moglie. Ma nel 1985 usai i soldi messi da parte in Germania per tornare qui a Grumo e riaprire la bottega. All'interno l'aspetto è rimasto immutato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E in effetti varcando l'ingresso sembra di intraprendere un viaggio indietro nel tempo. Scendiamo tre gradini, facendo attenzione a non battere la testa su un massiccio neon che si allunga dal soffitto. Assieme a esso penzolano diverse icone religiose: ne distinguiamo due della Madonna, una di Gesù e l'altra di San Nicola. Antonio è infatti un fervente credente. Il tutto mentre una vecchia radio fissata a una delle pareti trasmette "Io vagabondo", il successo dei Nomadi inciso nel 1972.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Al centro dell'angusto ambiente è piazzato ù vangaridd, ossia il tavolo in legno tipico dei calzolai, dotato di più ripiani e di alcuni cassetti dove riporre i congegni più utilizzati. Il mobile è colmo di calzature, chiodi, aghi, spaghi, pinze, colle e tinture.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attorno a esso, nel disordine generale, balzano all'occhio alcuni utensili d'epoca, mai rinnovati. Per esempio c'è un allargascarpe blu della Toro risalente agli anni 50: si tratta di un marchingegno a forma di T con ai lati delle rotelle manovrabili per allargare o allungare qualsiasi tipo di accessorio per i piedi. A poca distanza adocchiamo anche una robusta lucidatrice verde attiva da mezzo secolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Antonio insomma bada poco all'estetica del suo "ufficio". «Non siamo in un salone di moda - sottolinea l'esperto del settore - ma nel "regno" di un artigiano. Lasciare tutto come era un tempo significa tener vivo un mestiere dalla grande tradizione e allo stesso tempo offrire un prodotto di qualità: qui infatti tutto viene fatto a mano. E poi a che serve cambiare, visto che fra poco tutto questo non esisterà più: ho consigliato infatti ai miei figli di intraprendere occupazioni più redditizie».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mentre chiacchieriamo il calzolaio armeggia la sugghj,  cioè una lesina, quell'arnese dotato di un grosso ago a uncino che buca il cuoio delle scarpe per permettere il passaggio dei lacci. Poi afferra un pezzo di ferro e lo usa come perno per la calzatura appena bucata: sul tacco di quest'ultima, ora rivolto verso il suo viso, viene applicato un rivestimento in gomma grazie alla pressione di sapienti martellate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La cura con cui opera è quella di chi non vuole arrendersi alle difficoltà economiche e la forza di andare avanti arriva innanzitutto da decenni di esperienza alle spalle. «Guardate qui - dice Antonio brandendo una foto in bianco e nero -. In questa istantanea avevo 18 anni e fui ritratto nella bottega dove facevo apprendistato assieme al mio maestro con suo figlio, un mio zio paterno e un amico del vicinato. E’ passata una vita da allora, tra migliaia di scarpe riparate».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)

Nel video (di Gianni de Bartolo) la nostra visita alla bottega di Antonio:

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  • Cecilia colapietro - Provo una sorta di tristezza nel sentire che ci sono persone che nn vanno più a ritirare le scarpe. Sembra assurdo tutto questo benessere che ti porta piuttosto a comprarne al re... Per anni ho avuto sempre le stesse scarpe perché mio padre, pur nn essendo calzolaio ma amante di ogni mestiere...ha sempre avuto tutti gli attrezzi adatti e si andava a rifornire di materiale per potercele riparare. Le scarpe, una volta, erano un bene prezioso. Simpatico Antonio...


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