di Mina Barcone e Giancarlo Liuzzi - foto Adriano Di Florio

 Tra ipogei, torri, affreschi e chiesette, la storia della "rossa" Masseria Spina di Monopoli
MONOPOLI – Il color rosso acceso, la doppia scalinata, l’insolita posizione a due passi dal mare di Monopoli e la sua antica storia la rendono una delle dimore più particolari e affascinanti di tutta la Puglia. Parliamo di Masseria Spina, edificio immerso in uno stupendo scenario campestre abitato sin dal Neolitico e contraddistinto da lame, torri di avvistamento, vasti ipogei e persino due chiese. Un luogo che siamo andati a visitare. (Vedi foto galleria)

Per raggiungere la tenuta, oggi divenuta elegante resort, basta uscire dalla statale 16 allo svincolo Monopoli Nord per poi imboccare viale Aldo Moro, strada che corre parallela al litorale. Dopo circa un chilometro, al civico 27, due colonne rossicce con terminali a forma di piramide segnano sulla destra l’ingresso della Masseria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da questo punto parte un lungo viale asfaltato puntellato da ulivi secolari che circondano la residenza per quasi sette ettari. E al termine della strada ci si ritrova davanti a un cancello che permette l’accesso al cortile interno, “decorato” con vari attrezzi agricoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ad accoglierci è Rosy, la giovane guida che accompagna quotidianamente i clienti della struttura in visita al sito. «Il luogo era abitato già nel Neolitico  - ci illustra l’esperta - e sorge su un’antica lama che oltre a offrire un terreno fertile per l’agricoltura, ospita diverse grotte che nel corso dei secoli sono state utilizzate come luoghi di sepoltura e di lavoro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Durante il XII qui fu anche costruita una chiesa e successivamente, tra il 1400 e il 1500, due torri di avvistamento. Una di queste nel 700 si trasformò in masseria a seguito di un’importante ristrutturazione, mentre l’altra conserva ancora il suo aspetto originale. Vengono oggi contraddistinte rispettivamente col nome di “Spina grande” e “Spina piccola”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le costruzioni prendono infatti il nome da Lucrezia Spina, proprietaria nel 500 della tenuta. A seguito di altri matrimoni la residenza passò alla famiglia Ammazzalorsa, che vi rimase sino al 1760. In quell’anno venne acquistata da Vito Giuseppe Martinelli, Cavaliere di Malta e nobile salernitano già possessore della sontuosa Villa Meo-Evoli in Contrada Cozzana. Fu quest’ultimo, ricco mercante e produttore di olio e seta, a dare alla masseria l’attuale aspetto arricchendola anche di una chiesetta adiacente al corpo centrale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A partire dal 1890, per successione ereditaria, la dimora passò infine alla famiglia Meo-Evoli che la rese negli anni 70 del 900 una tra le prime attività agrituristiche della Puglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è arrivato ora il momento di visitare il complesso, partendo proprio da “Spina grande” che si presenta ai nostri occhi con un inedito e sfavillante color rosso. «Fu una scelta cromatica voluta dai proprietari durante la Seconda guerra mondiale per renderla meno visibile agli attacchi aerei notturni – spiega Rosy -. Stratagemma che funzionò preservandola dai bombardamenti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una doppia e nobile scalinata delimitata da una serie di colonnine bianche conduce al piano nobile introdotto da un patio ad archi. Mentre sulla sinistra si apre l’ingresso della chiesetta barocca dedicata all’Immacolata, il cui bianco portale centrale è dominato dalla statua di San Vincenzo Ferrer con la Bibbia aperta nella mano sinistra intento a mostrare l’incipit di un passo dell’Apocalisse.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Sui lati, all’interno di due nicchie, sono presenti le statue di Santa Irene, antica patrona di Monopoli e dell’Arcangelo Michele che trafigge un drago, rappresentazione di Lucifero. Più in alto un finestrone ornato da un doppio frontone ad arco introduce a un piccolo campanile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All’interno una serie di sedie in legno conducono all’altare e al quadro della Madonna raffigurata avvolta da una schiera di angioletti. Qui è anche presente una lastra in pietra con una concessione religiosa rilasciata nel 1765 da Papa Clemente XIII, a dimostrazione della grande importanza della famiglia Martinelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Vorremmo ora entrare nel corpo principale della masseria, ma ci viene riferito che il piano terra accoglie ormai il ristorante, mentre i livelli superiori ospitano le stanze dei turisti. Non ci resta quindi che spostarci sul retro, per entrare nell’area medievale della tenuta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Del IX secolo sono una serie di fosse rettangolari che più di mille anni fa ospitarono i corpi dei defunti della comunità che qui viveva. Mentre è del XII secolo la Chiesa Minore, un tempio in pietra grezza e di forma quadrangolare il cui interno, ormai spoglio, rivela però alcuni decori geometrici situati sul soffitto a volta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E ai piedi dell’edificio eccoci davanti al primo ipogeo. Lo raggiungiamo scendendo attraverso grandi gradini in pietra. Si tratta di un luogo sotterraneo che ha ospitato nel medioevo delle tombe a camera per poi essere utilizzato nel corso dei secoli come cisterna per la raccolta delle acque piovane. Un angolo della grotta, dominato dal muschio, presenta infatti un’apertura che permetteva alla pioggia di entrare per andarsi infine a depositare in una vasca in pietra. 

Per visitare il secondo e più grande ipogeo, attraversiamo il letto della lama in cui cresce rigogliosa la vegetazione. A regnare qui sono gli ulivi, tra cui due splendidi e fieri millenari. E, lasciandoci alle spalle la parte retrostante della masseria sulla quale sbuca una particolare torretta con coronamento a cipolla, ci ritroviamo davanti alla cavità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Vi si accede anche qui tramite una scalinata, introdotta da una sorta di edicola votiva in pietra dalla forma ad arco, che presenta un affresco cinquecentesco dove sono raffigurati San Francesco, la Madonna della Madia e San Martino. Un’altra chicca situata in questo sorprendente luogo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Scendendo, entriamo in un vasto ambiente in cui è possibile osservare la vasca per la molitura delle olive e i resti di enormi macine e fiscoli. Un corridoio conduce invece a un’altra stanza nella quale tra il 700 e l’800 veniva prodotta la seta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Usciamo attraverso una porta in pietra sormontata da un monumentale ulivo che sembra essersi fuso con la struttura, per dirigerci verso l’ultima tappa del nostro viaggio. E qui veniamo immersi in un’ambientazione completamente diversa da quelle visitate in precedenza: pare infatti di trovarsi in un maniero abbandonato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un portale inserito in un muro di cinta difeso da una caditoia, permette l’accesso a un’area dove accanto a un ex stalla perfettamente conservata, si erge in tutta la sua imponenza “Spina Piccola”. Si tratta di una torre di avvistamento a base quadrata che si sviluppa su due piani, coronata da un parapetto leggermente aggettante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ad eccezione del ponte levatoio in legno, è rimasta intatta – sottolinea la guida –. L’arco d’ingresso è sormontato da una caditoia alla quale si accede con una doppia scala addossata al muro di cinta. È persino ancora presente il piccolo caminetto in pietra che permetteva di segnalare, attraverso il fumo, l’arrivo dei nemici sulla costa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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