Letto: 13801 volte | Inserita: giovedì 16 marzo 2017 | Visitatore: MIRIAM

Lavoro per un’azienda privata dal 2003, ho sempre svolto compiutamente le mie mansioni, percependo sempre  la giusta retribuzione. Da qualche anno però il datore di lavoro mi dice di affiancare dei lavoratori somministrati da agenzie interinali, retribuiti in misura inferiore rispetto a me. Dopo un anno di affiancamento, io e qualche mio collega siamo stati convocati dal datore di lavoro che ha annunciato una riduzione del personale a causa di andamenti negativi di mercato e sostiene che, a causa del minor numero delle commesse, non potrà garantire la conservazione del posto di lavoro. Insomma siamo stati licenziati, a differenza dei lavoratori interinali che hanno mantenuto il posto di lavoro. Ho la possibilità di impugnare il licenziamento?

Bisogna innanzitutto precisare che i licenziamenti intimati nei casi in cui l’impresa sia in un particolare momento di difficoltà economica (ad es. crisi di mercato, bilancio in perdita, ecc) e in tutte quelle situazioni che possano condurre alla soppressione di un posto di lavoro o alla riduzione del personale rientrano nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ossia quelli determinati per ragioni inerenti “all'attività produttiva” e “all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3, L. 604/1966).  Quindi, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha alla base motivazioni esterne al lavoratore o non imputabili allo stesso. 

Il datore di lavoro però non però procedere al licenziamento a meno che non dia prova della effettiva sussistenza di una difficoltà economica o dell’andamento negativo di mercato, ragion per cui è necessaria la riduzione dell’organico o la soppressione di quel posto di lavoro per esigenze effettive di riorganizzazione aziendale. Tale prova deve essere fornita al Giudice del lavoro dal datore di lavoro, tramite elementi oggettivi, come ad esempio la messa in visione dei bilanci d’esercizio corrispondenti agli ultimi anni, i quali ben possono mostrare se vi sia o meno una perdita d’esercizio.

Oltre a ciò, in virtù del c.d. diritto di repêchage del lavoratore (diritto di “ripescaggio” o di ricollocamento), il datore di lavoro deve anche dare prova di non poter ricollocare il lavoratore in esubero in altra posizione lavorativa disponibile. Insomma il licenziamento può essere considerato legittimo solo quando costituisca un’extrema ratio, cioè solo quando non sia possibile, per il datore di lavoro, alcun salvataggio del lavoratore nell’organizzazione produttiva, anche attraverso l’assegnazione dello stesso a mansioni diverse.

Ma se, come nel suo caso, il datore di lavoro ha proceduto ad ulteriori assunzioni nei 6 mesi anteriori (o successivi) alla comunicazione del licenziamento, qui si entra in un caso tipico di licenziamento illegittimo. Una situazione di crisi d’azienda si pone infatti in antitesi con l’assunzione di nuovo personale e certamente comporta una manovra elusiva messa in atto dal datore di lavoro atta a licenziare lavoratori che presentano costi maggiori, a favore di altri che per tipo di contratto e anzianità percepiscono uno stipendio minore.

Tra l’altro secondo i criteri espressi dall’ art. 5 Legge 23 luglio 1991 n. 223, il datore di lavoro deve privilegiare la conservazione del posto di lavoro per i dipendenti che possiedono una maggiore anzianità di servizio, dando precedenza al mantenimento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a discapito di quelli a tempo determinato, part-time e di somministrazione.

Nel suo caso quindi lei potrà impugnare il licenziamento, entro 60 giorni dalla sua comunicazione ed in seguito avrà 180 giorni per depositare, tramite il proprio legale, formale ricorso presso la sezione lavoro del Tribunale, affinché sia accertata l’illegittimità del licenziamento e il reintegro con il relativo risarcimento del danno.

Risponde

LAURA LIEGGI - Avvocato cassazionista esperta in Diritto del lavoro e della Previdenza sociale. Consulente presso i maggiori sindacati rappresentativi.

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