di Gaia Agnelli

Dai brividi che dą l'ovatta al rifiuto di alcuni alimenti: ecco da dove nascono le "idiosincrasie"
BARI – C’è chi rifiuta categoricamente alcuni cibi o bevande, chi sta male al solo pensiero di dover compiere una determinata azione, chi rabbrividisce toccando alcuni oggetti e chi ha paura di alcuni animali. Perché è un dato di fatto: ognuno di noi prova repulsione verso qualcosa. Si parla in questi casi di “idiosincrasia”, ossia di una forte insofferenza che conduce a concrete reazioni fisiche quali pelle d'oca, nausea, sudorazione o prurito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Avversioni che sorgono spesso senza una reale motivazione e che scaturiscono dall’inconscio, lì dove si conservano i traumi del passato. Perché sono proprio le brutte esperienze vissute (soprattutto durante l’infanzia) a far scatenare le reazioni, “riaccese” di volta in volta da un particolare odore o dalla visione di un oggetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A occuparsi di questa stretta connessione tra mente e corpo è la psicosomatica, scienza che studia le risposte dell’organismo a un determinato stimolo del cervello. Per analizzare il fenomeno ci siamo così rivolti a un esperto in materia: il 36enne psicoterapeuta barese Marco Magliozzi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In che cosa consistono le idiosincrasie?

Si tratta di manifestazioni di ipersensibilità nei confronti di alcune sostanze e oggetti (da non confondere con le allergie, dovute invece a fenomeni immunologici): vere e proprie repulsioni mentali che vedono l’insorgere di sintomi psicologici (tra cui ansia e fobie) e corporei quali prurito, brividi, nausea o dissenteria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da dove scaturiscono?

Da traumi vissuti durante l’infanzia e mai risolti che la psiche cerca di rimuovere costruendo una “barriera protettiva” che porta al rifiuto categorico del ricordo a cui il brutto episodio è legato. Le esperienze però non “muoiono” mai e restano silenti nel nostro inconscio. Di conseguenza, quando ci si trova davanti a ciò che ha provocato malessere, si attivano una serie di sensazioni che hanno lo scopo di allontanarci da quello che consideriamo un potenziale pericolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sensazioni che si attivano tramite i cinque sensi…

Il cervello nella sua complessità è interconnesso a tutte le sue funzioni e dunque alle sfere sensoriali. Ad esempio i bulbi olfattivi e gli occhi con le loro diramazioni nervose sono legati all’amigdala (area cerebrale che gestisce le emozioni) e alla neocorteccia che controlla il pensiero. Se ne deduce che l’avversione nasce sì da un’immagine mentale, ma è riaccesa proprio attraverso uno dei cinque sensi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutti noi abbiamo ad esempio un cibo che proprio non mangiamo.

Le idiosincrasie verso il cibo sono quelle più comuni. Il perché? Ciascuno di noi ha vissuto esperienze terribili con un alimento o una bevanda. So di una persona che non mangia il parmigiano perché da piccolo, scivolatogli nella gola, gli causò un temporaneo soffocamento. O chi non sopporta un determinato tipo di pesce perché è quello che gli ha provocato un’intossicazione alimentare. Addirittura sono a conoscenza di un individuo che alla sola vista delle fragole prova un senso di nausea, perché un giorno mentre era in auto per andarle a comprare fu vittima di un incidente stradale. Tutto questo crea ovviamente un vero e proprio rifiuto psicologico che si manifesta poi con sintomi di avversione fisici e mentali alla vivanda in questione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo stesso vale per i profumi…


Supponiamo che un soggetto abbia vissuto un grave lutto riguardante un parente che era solito usare un determinato profumo. Ora, immaginiamo che dopo tanto tempo dalla sua scomparsa, questa persona senta la stessa fragranza indosso a un altro. C’è la grossa probabilità che l’olfatto faccia riemergere il trauma della morte attivando un meccanismo di rifiuto verso quell’aroma.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra le repulsioni più strane (ma anche più comuni) c’è quella verso l’ovatta: la sola idea di spezzarla a molti fa venire la pelle d'oca.

Perché è legata al ricordo del dolore. Da bambini quante volte ci siamo fatti male cadendo o abbiamo dovuto subire delle iniezioni? Ebbene ogni volta la mamma o l’infermiera spezzavano un batuffolo d’ovatta per poi immergerlo nell’alcool (che oltretutto bruciava). Ancora oggi quel ricordo suscita un dolore immaginario che ci riporta indietro nel tempo quando da piccoli ci medicavano o ci facevano una “puntura”. È la stessa cosa che avviene nei confronti del cucchiaio. Quest’ultimo è inevitabilmente legato all’atto di prendere medicine e sciroppi: l’incubo di tutti i bambini. Così tuttora a distanza di anni la posata in alcuni rievoca l’odore sgradevole dei medicinali, portando a nausea e brividi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche il tatto può provocare avversioni…

C’è chi prova fastidio a toccare quei cibi che lasciano dei residui. Si tratta di persone cresciute in ambienti molto attenti alla pulizia, dove lavarsi bene le mani prima dei pasti era una regola imprescindibile. E così questi individui oggi non riescono ad esempio a spezzare il pane, perché sanno che potrebbe rilasciare quella farina che andrebbe poi a “sporcare” le loro candide mani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E chi ha paura dei cani pur non essendo mai stato morso?

Qui entriamo nel campo dell’“apprendimento indiretto”, quando la vittima non ha subìto il trauma in prima persona ma lo ha “ereditato” da qualcuno. Durante l’infanzia ha magari ripetutamente ascoltato un genitore parlare con paura del giorno in cui è stato morso dall’animale e, interiorizzando questa esperienza, ha così trasformato la figura del cane in un pericolo costante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma c’è un modo per combattere le proprie paure?

Bisogna prima di tutto essere consapevoli della propria fobia. Molti la negano, la definiscono “normale” perché diventata ormai abitudine, quando invece nella realtà è controproducente e limitante. La psicoterapia, in questi casi, ha l’obiettivo di risalire alla base dell’avversione, scovando il trauma originario e strutturando così nuove modalità di risposta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un’ultima domanda: si può essere, al contrario, attratti da un odore o un sapore senza apparente motivazione?

Certo. Se porto una ragazza a mangiare in un ristorante, ordinando un determinato piatto, e anni dopo diventa mia moglie, quando sentirò nei locali il profumo di quella pietanza sarò inevitabilmente felice e sereno. Questa evocazione dei ricordi è definita in psicologia “effetto Proust”, in riferimento all’opera “Alla ricerca del tempo perduto” dello scrittore francese. Parliamo di un qualcosa che fa riemergere un episodio positivo conservato nell’inconscio, resuscitando così le emozioni connesse all’evento. Vi siete mai chiesti perché ad esempio l’odore della benzina piace a tutti? Il motivo è che il suo benzene funge da stimolo olfattivo, permettendo così il riaffiorare di bellissimi ricordi quali le gite di famiglia durante l’infanzia che  riattivano sensazioni di felicità.


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