di Irene Coropulis - foto Christian Lisco

Dimenticate e nascoste nella Cattedrale di Bari: la storia delle reliquie di San Sabino
BARI – La Cattedrale di Bari è dedicata ufficialmente a Santa Maria dell’Assunta, ma è conosciuta da tutti come “Cattedrale di San Sabino”. Il motivo? Nella sua cripta si nascondono da più di mille anni le reliquie del primo patrono della città. Solo che in pochi lo sanno.

Un tempo veneratissimo, il vescovo di Canosa ha infatti perso la sua fama nel corso degli anni, soppiantato dal più “internazionale” San Nicola, diventato unico patrono del capoluogo pugliese nel 1961. E poi c’è da considerare che per cause religiose le sue ossa non possono essere visibili al pubblico. Il risultato è che queste preziose spoglie giacciono nascoste e dimenticate dentro a un altare, prive della devozione dei fedeli.

Noi però abbiamo avuto il privilegio di poterle ammirare e fotografare, riscoprendo un luogo avvolto dalla sacralità. Ed ecco il nostro racconto (vedi foto galleria).

Il viaggio inizia in piazza dell’Odegitria, dove si staglia la duecentesca facciata della Cattedrale la cui linearità romanica è spezzata da un gruppo di sculture barocche che rappresentano la Madonna affiancata da due figure dalla lunga barba. Si tratta di San Nicola e di San Sabino, poste lì quasi a voler ricordare a tutti il loro secolare “antagonismo”.

Varcando il portale del tempio ci ritroviamo avvolti dall’incenso e dalla luce calda che filtra dall’enorme rosone. E mentre contempliamo le sobrie arcate ai lati della navata principale, notiamo sulla sinistra un quadro dai colori vivaci, che raffigura un uomo barbuto simile a quello della statua.

«In effetti è San Sabino – sottolinea il 45enne Don Michele, viceparroco della chiesa -: il dipinto è uno dei pochi indizi che lasciano presagire che qui siano presenti le sue ossa».

Le spoglie sono ospitate in Cattedrale dall’851, quando il vescovo Angelario decise di portare i resti a Bari per dar lustro alla città, in un periodo storico in cui la città tra l’altro era governata dai saraceni. Sabino, religioso vissuto nel VI secolo e padre della Chiesa, era infatti considerato un personaggio di grande prestigio.

Fu così organizzata una “spedizione” (di cui non si sa molto) nel duomo di Canosa per accaparrarsi le reliquie che furono poi accolte nella cripta della Cattedrale, che all’epoca si presentava ancora con la sua struttura bizantina


Ed è proprio nella cripta che ci dirigiamo per ammirare le spoglie. Scendiamo una scalinata in marmo per ritrovarci in uno sfarzoso ambiente ricco di stucchi dorati e decorazioni sinuose. Don Michele ci guida davanti all’altare, dominato non dall’immagine di San Sabino, ma da un quadro della Madonna dell’Odegitria.

La cattedra, dietro la quale si celano i sacri resti, è delimitata da una balaustra in legno chiusa da un cancelletto che non permette l’accesso al presbiterio. «È comune che i fedeli non possano guardare le reliquie, riservate solo allo sguardo dei sacerdoti – chiarisce il 57enne Michele Cassano, sacrista della chiesa -, in alcuni casi però le spoglie possono essere esposte durante i festeggiamenti annuali del santo. Cosa che nel caso di Sabino non avviene, visto che ormai non è più il patrono di Bari».

Ma noi abbiamo il permesso di varcare il passaggio, che ci viene aperto da Don Michele. Possiamo quindi osservare il retro dell’altare composto da marmo bianco su cui si staglia un’immagine raffigurante sempre la Madonna dell’Odegitria.

Il nostro sguardo è però catturato dalla forte luce che proviene da una vetrinetta posta sotto il dipinto. E scorgendo oltre il vetro, all’interno di una nicchia interna alla cattedra, possiamo finalmente ammirare i piccoli frammenti ossei appartenenti al dito del santo. Sono accolti in un settecentesco reliquiario d’oro dalla forma tondeggiante, intarsiato con raffinati fiori a raggiera.

Ai lati della teca troviamo anche due lapidi in pietra incise con scritte in latino, che rammentano la storia millenaria di questo prezioso reperto. Sulla sinistra c’è quella che evoca il momento della consacrazione dell’altare a San Sabino, voluta dal vescovo Giovanni nel 1156. Sulla destra invece si narra di quando Angelario da Canosa portò le ossa a Bari.

E mentre siamo incantati dalla solennità del luogo, veniamo interrotti da una turista intrufolatasi nel presbiterio che chiede al prete se quelle che stiamo contemplando siano le spoglie di San Nicola. Una domanda beffarda, che conferma come di San Sabino non si ricordi più nessuno.

«Siamo abituati ai fraintendimenti: questo culto è ormai passato – spiega don Michele accompagnandoci all’uscita –. Basti pensare che alla messa del 9 febbraio che celebra il giorno della morte del santo partecipano pochissimi fedeli. E del resto, a Bari chi chiama più i propri figli Sabino?».

(Vedi galleria fotografica)


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