Viviana Strambelli, in arte "Lamine": č barese la vincitrice del Premio De André
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giovedě 23 gennaio 2020
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di Laura Villani
Partiamo dal premio: come ti senti dopo questa importante vittoria?
Emozionata e incredula. Quando hanno fatto il mio nome per la premiazione ero dietro le quinte distratta dal cellulare. Non me l’aspettavo. Sono praticamente saltata addosso a Dori Ghezzi, il presidente della giuria.
E ora parliamo di te. Da dove deriva il tuo particolare nome d’arte?
Da un errore. Ho scritto una canzone dal titolo “Lamine” e in un secondo momento, fraintendendo una domanda, l’ho indicato come nome del mio intero progetto musicale. Ma alla fine ho deciso di tenermelo perché mi sembra una parola al contempo “ferrosa” e delicata, che richiama sia le lastre metalliche che le proteine. E poi ha un’assonanza con anime, con lacrime.
Sei nata a Trapani ma cresciuta in Puglia e ora abiti a Roma. Ti senti comunque barese?
Dai sei mesi di vita fino ai 19 anni ho vissuto tra Bitonto e Bari, per la precisione nel quartiere Santo Spirito. Quindi mi definirei sicuramente barese. Tra l’altro i miei genitori continuano a vivere nel capoluogo pugliese, quindi per me “casa” è proprio lì.
Hai avuto anche una parentesi genovese, dove ti sei formata come attrice al Teatro Stabile.
Sì, ho partecipato ad alcuni film e serie televisive. In “Tutto tutto niente niente” di Antonio Albanese interpretavo una ragazza pugliese truccatissima e tatuata, Maria Assuntina Maddalena, sorella di “Frengo”. E prima ancora di diplomarmi ho avuto un’esperienza straordinaria prendendo parte a “Tickets” di Ken Loach, un regista di grandissimo spessore.
Com’è avvenuto il passaggio alla musica?
In un certo senso attraverso la recitazione. Feci un provino per uno spettacolo ma non c’erano più ruoli disponibili, però al regista piaceva la mia voce. Allora si inventò per me la parte di una sorta di “fata decadente” che cantava brani di Shakespeare musicati (da me) in chiave rock. Fu lui a farmi sapere che stava per tenersi il concorso “Genova per voi” e mi incoraggiò a presentare alcune mie canzoni. Le scrissi in due settimane e mi piazzai terza.
E da allora non hai più smesso.
Iniziai a comporre per altri artisti ma a un certo punto mi resi conto che non mi andava più bene, perché avevo trovato una forma “mia”, che volevo approfondire. Oggi non so immaginarmi senza musica: un canale di espressione che considero più libero della recitazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come definiresti il tuo genere e di che cosa parlano le tue canzoni?
Lo chiamerei probabilmente un alternative pop d’autore, ma è difficile per me “inscatolarmi”, perché è uno stile un po’ eclettico. Scrivo ispirata da input esterni che toccano la mia emotività: sogni, storie di persone che mi colpiscono, immagini, sensazioni tattili, anche oggetti. Una delle canzoni che sto incidendo parla di un temporale.
Come è nato il pezzo che ha vinto il premio De Andrè, “Non è tardi”?
Da un moto di rabbia. Era un momento in cui sentivo il bisogno di smettere di “vivacchiare”, volevo prendere una posizione netta dal punto di vista sentimentale ma anche nel lavoro e nella vita. La salma di cui canto rappresenta proprio la piccola morte interiore a cui si è destinati se ci si accontenta ad ogni costo.
Quando uscirà il tuo album?
Posso dire solo presto: ci stiamo lavorando ed è tutto molto frenetico. Così come è prossima la registrazione del videoclip di “Non è tardi” e un tour di otto tappe: un “regalo” incluso nel Premio De André.
Nel video: Lamine al Premio de André
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