L'antica lavorazione del bisso: la "seta di mare" ricavata da un mollusco in via di estinzione
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venerdì 22 novembre 2024
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di Raniero Pirlo
Si ricava da un mollusco chiamato scientificamente Pinna nobilis ma meglio conosciuto come “nacchera di mare”, maggiormente diffuso in Italia nelle acque di Taranto (dove viene definito lanapenna) e in quelle di Sant’Antioco, in Sardegna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un’arte, quella della lavorazione del bisso, riuscita a sopravvivere allo scorrere del tempo, ma che si è dovuta arrestare definitivamente una decina d’anni fa, quando a causa di un protozoo “assassino” si è verificata una rapida morìa della nacchera, già comunque da tempo considerata specie a rischio. Così i piccoli laboratori tessili che producevano il tessuto sono stati costretti a chiudere, forse per sempre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo andati alla scoperta di questo particolare mollusco e della sua leggendaria “seta”. Ad aiutarci Giulia Cipriano, assegnista di ricerca in Ecologia presso il Dipartimento di bioscienze, biotecnologie e ambiente dell’Università di Bari. (Vedi foto galleria)
Che cos’è il bisso?
Con il termine bisso s’intende quella struttura filamentosa di colore castano prodotta da alcuni mitili tra cui, soprattutto, la Pinna nobilis, nome scientifico della comunemente detta nacchera di mare. Si tratta del più grande mollusco bivalve del Mediterraneo, di cui è endemica. Può arrivare anche a un metro di lunghezza producendo quindi un quantitativo di bisso più abbondante rispetto agli altri molluschi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come mai le nacchere producono questo materiale filamentoso?
Perché crescono su substrati instabili o molli, come la sabbia o le praterie di posidonia, rischiando costantemente di essere soggette alle maree. Per questo motivo vivono con la parte appuntita della conchiglia infossata nel fondale. Qui producono un filamento fibroso anche piuttosto lungo (si arriva fino a 40 centimetri) che a mo’ di radice, penetrando nel substrato, permette loro di mantenere la stabilità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E attraverso quale processo questa “radice” si trasforma in un tessuto di pregio?
Si tratta di un procedimento alquanto complesso. Innanzitutto il bisso viene raccolto, stando attenti a non prelevarlo completamente e a non danneggiare la pinna. Successivamente i filamenti vengono lavati diverse volte, così da liberarli di qualsiasi impurità. Dopo l’asciugatura c’è una fase di lavorazione con del succo di limone, elemento che gli conferisce quei particolari riflessi dorati. Soltanto dopo questi passaggi, il bisso potrà essere pettinato, cardato e poi tessuto come cotone. Il risultato sarà un materiale meraviglioso, particolarmente leggero e flessibile ma anche molto resistente e al tatto simile alla seta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un procedimento più complesso rispetto alla seta ricavata dai bachi…
Senza dubbio, anche per la scarsa reperibilità del materiale. Per produrre un manufatto in bisso ci vogliono a volte anni sia per la rarità della Pinna nobilis sia per l’onerosa procedura di lavorazione. Per questo è sempre stato considerato un tessuto prezioso (detto “dei re”) usato per produrre capi di piccole dimensioni come cuffie o guanti. Basti pensare al dono che fu fatto dal vescovo di Taranto al re di Prussia Federico Guglielmo III in visita a Napoli nel 1822, i cui guanti di bisso sono oggi ben custoditi nel Museo di Storia naturale di Berlino.
Il bisso ha continuato a essere prodotto anche in tempi più recenti?
Sì, soprattutto a Taranto e a Sant’Antioco, in Sardegna, dove la nacchera è stata sempre più reperibile. Un’arte portata avanti da piccoli laboratori. In realtà negli anni 30 Rita Del Bene, una tarantina originaria di Massafra, recuperò le tecniche di filatura arrivando addirittura a ottenere nel 1936 il primo brevetto. Il suo obiettivo era quello di creare un sistema industriale per la produzione di manufatti in bisso. Tuttavia con l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale il progetto andò in fumo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E oggi?
Negli ultimi anni la produzione si è arrestata. Anche l’ultima scuola del bisso, quella di Chiara Vigo a Sant’Antioco, ha dovuto chiudere nel 2016 e pure a Taranto quest’arte è in questo momento perduta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come mai?
Perchè la Pinna nobilis ha cominciato a essere di difficile reperibilità. Eccessivo prelievo (la nacchera è infatti commestibile), inquinamento e distruzione dell'habitat marino dovuto a una maggiore urbanizzazione delle coste, hanno causato infatti una drastica diminuzione del numero di esemplari. E poi c'è stato il colpo definitivo inferto dall'Haplosporidium pinnae. Quest’ultimo è un protozoo che entra nell’apparato digerente del mollusco, debilitandolo e provocandone il decesso. In definitiva la nacchera sta rischiando seriamente l’estinzione: è stata dichiarata dall’Unione internazionale per la conservazione della natura una “Critically endagered species”, vale a dire una specie gravemente in pericolo e la sua pesca è vietata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Si sta facendo qualcosa per salvarla?
Ci si è messi alla ricerca di individui sopravvissuti al protozoo. Talvolta i pescatori trovano le conchiglie delle nacchere infossate nei fondali e avvisano gli enti e i ricercatori che si occupano del recupero di questo organismo. Purtroppo le attese sono ogni volta deluse dato che gli esperti stanno riportando in superficie solo esemplari senza vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quindi è difficile immaginare un futuro per l’arte del bisso?
In questa situazione l’unica via per il bisso rimarrebbe quella della cozza d’allevamento, che seppur in quantità notevolmente inferiori alla nacchera riesce a produrre il filamento. Ma anche questo mitile non se la passa bene: è infatti in pericolo a causa del surriscaldamento delle acque.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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