di Katia Moro

Foggia, su una pista di atterraggio vivono mille migranti: sono gli
FOGGIA – Privi di una meta, si rifiutano di ritornare nel proprio Paese, soggiornando abusivamente nell’eterna attesa che accada qualcosa, "invisibili" sotto gli occhi indifferenti di un’Italia come al solito incapace di prendere provvedimenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo avervi parlato ampiamente della situazione dei migranti ospitati nei Cara che aspettano il riconoscimento di rifugiati e di quelli che tale riconoscimento l’hanno ottenuto pur non avendo trovato ancora un posto civile dove stare, oggi vi raccontiamo di quelle persone che hanno ricevuto invece parere negativo dalle Commissioni territoriali e che quindi si trovano ora “nel nulla”. Vivono in Italia, ma impossibilitati a trovarsi un lavoro, visto il loro stato di clandestini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un esempio lampante di questa situazione è la comunità presente a Borgo Mezzanone, un paese pugliese a 10 km da Foggia, dove, su una ex pista di atterraggio della Nato (nella foto), vivono in alcuni container circa un migliaio migranti. Sono per la maggior parte africani, divisi in “anglofoni” e “francofoni”. Sulla loro storia il 34enne regista lucerano Luciano Toriello ci ha girato un documentario prodotto da Alessandro Piva e finanziato dall’Apulia Film Commission: “Le vite accanto”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I container erano stati portati a Borgo Mezzanone per dare una prima accoglienza a chi avesse ricevuto lo status di rifugiato, ma poi di fatto sono stati occupati da coloro che si sono visti rifiutare il permesso di soggiorno. Persone che allontanate dal Cara (che sorge nelle vicinanze) non è restato altro che accamparsi sulla pista o in vecchi casolari abbandonati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui, in piccoli container caldi d’estate e molto freddi d’inverno, vivono centinaia di uomini, donne e bambini, tra degrado, sporcizia, assenza di acqua potabile e allacci per l’elettricità abusivi. Separati dal resto della cittadinanza da terre incolte, campano di espedienti: alcune donne si prostituiscono e gli uomini diventano manodopera in nero per la raccolta dei pomodori, così come avviene nel “Ghetto” di Rignano Garganico. Ad aiutarli qualche volontario della Caritas e  Emergency.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un posto, questa “pista”, sconosciuta ai più. «Gli stessi cittadini di Borgo Mezzanone ignorano quasi del tutto l’esistenza di questi luoghi e di queste persone – afferma Luciano Toriello -. La dichiarazione che più di tutte mi ha spinto a girare il documentario, è stata quella di una cassiera che quando ha scoperto che volevo ambientare un film nel suo paese mi ha chiesto sbalordita: “E cosa c’è da raccontare qui?”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Ma a questo punto per tutte queste persone non sarebbe meglio ritornare nel proprio Paese? «Se anche potessero, questi immigrati non tornerebbero indietro dopo aver investito tutti i propri averi nel “viaggio della speranza” – ci risponde Toriello -. È una questione di dignità. Mi ritorna alla mente il film “Pane e cioccolata” interpretato da Nino Manfredi. Il protagonista è un immigrato italiano in Svizzera che pur di non ammettere il fallimento e ritornare a mani vuote, vive in un fienile fingendo di aver fatto fortuna. Quel fienile è la pista. Gli immigrati infatti non vogliono farsi ritrarre e riprendere perché hanno paura che le loro famiglie vengano a sapere in quali condizioni vivono».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il regista si è quindi dovuto fingere mediatore culturale per poter entrare più facilmente a contatto con i migranti e raccontare così le loro storie. Tra queste quelle di Blessing, Peropkar e Roger.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Blessing è una giovane nigeriana giunta in Italia a 17 anni e da allora costretta a prostituirsi per ripagare il debito con coloro che le hanno permesso di scappare. Nonostante i quattordici aborti alle spalle, decide a un certo punto di portare avanti una gravidanza che drammaticamente le donerà un bimbo affetto dalla sindrome di Down. Nel film si confida, racconta le sue speranze, i suoi timori e il coraggio di tenere con sè, nonostante tutte le difficoltà, un bimbo disabile rifiutato da un padre violento e disinteressato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Peropkar invece fugge dalla famiglia. È un giovane indiano nato in Italia e conosciuto da tutti come “Gianni”. I genitori gli vogliono imporre l’osservanza dei rigidi costumi tradizionali inducendolo a matrimoni combinati, per questo va via dal proprio Paese per conquistare la libertà e l’indipendenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine c’è Roger, della Costa d’Avorio. Lui aveva un lavoro, ma è dovuto scappare perché i ribelli volevano arruolarlo. Così dopo aver messo al sicuro la propria famiglia è venuto in Italia nella speranza, per ora vana, di poter farsi raggiungere da moglie e figli, tra cui una bambina nata da poco che non ha ancora potuto conoscere. E nelle nostre orecchie riecheggia la voce di Roger che al telefono, in una delle scene più toccanti del film, si ostina a ripetere a gran voce il nome della figlioletta. Una bambina che però non riesce a sentirlo, perché troppo distante fisicamente e affettivamente da un padre che non ha mai visto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il trailer del documentario "Le vite accanto":



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  • riccardo - Complimenti


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