di Bianca Cataldi

Novecento associazioni e 30mila soci: il mondo del volontariato a Bari
BARI – Novecento associazioni e 30mila soci: sono questi i numeri del volontariato a Bari e provincia (più la parte della Bat che prima faceva riferimento al capoluogo). I dati ci vengono forniti da Csv San Nicola, il Centro di servizio al volontariato che censisce questo mondo che copre ogni area del “socialmente utile”: dalla cultura, all'immigrazione, alla salute.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Che cosa ci dicono questi numeri? Che questo tipo di associazioni sono tante, forse troppe. «Effettivamente le associazioni sono molte – afferma la responsabile dell'ufficio stampa Csv - ma assicuro che servono e che talvolta sanno essere più efficienti dello Stato stesso. Sicuramente non tutti coloro che sono iscritti partecipano attivamente alle attività, eppure la loro stessa quota associativa dà un valido supporto al resto del gruppo». 

In effetti non tutti i 30mila soci possono definirsi “attivisti”. Se togliamo coloro che si limitano solo al contributo economico, il numero dei volontari effettivi si aggira mediamente sui 15 per ogni associazione, fatta eccezione per i centri federati a livello nazionale come la Vip (Viviamo in positivo), associazione di clownterapia che conta circa 100 operatori a Bari. Quindi lavora solo la metà dei soci complessivi. Perché per diventare volontario non basta la voglia di aiutare il prossimo, ma è necessario anche essere capaci. Insomma non tutti coloro che vogliono offrire il proprio contributo gratuitamente vengono accettati dai numerosi centri predisposti. 

«Noi dobbiamo essere sempre allegri, non possiamo portarci dietro i nostri problemi e questo, bisogna ammetterlo, non è da tutti», spiega Gabriella Petruzzelli, vicepresidente dell'associazione “La Culla di Spago” che si occupa dei bambini malati di tumore. «​Già durante il primo colloquio c'è una forma di selezione - riferisce Giulia, volontaria della Culla di Spago -. E’ necessario subito riuscire a far capire che si è in grado di riuscire a rapportarsi agli altri. Dopodiché iniziano i corsi​». «I corsi spesso sono a numero chiuso - afferma Francesca, volontaria Vip -. Durante le lezioni ci sono anche degli psicologi che analizzano le motivazioni che spingono il corsista a diventare volontario e se sarà in grado di sopportare psicologicamente il peso del suo lavoro​».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«E comunque dopo il corso c'è sempre un periodo di tutorato, una sorta di tempo di prova – sottolinea la Petruzzelli -. Il nostro è un lavoro delicato a prescindere dal tipo di volontariato in questione perché nella maggior parte dei casi abbiamo a che fare con gente che soffre. Non possiamo rischiare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proprio le associazioni che si dedicano alla salute sono quelle numericamente superiori: 28 soltanto nella città di Bari, seguite a ruota dalle 20 che si occupano di donazione del sangue e dalle 14 che agiscono nell’ambito della cultura. Quattordici sono anche quelle che aiutano le persone con disabilità. 

Ma le associazioni come campano, come fanno a sostenersi economicamente? «Innanzitutto secondo la legge 266 del 1991, che regolamenta le attività di volontariato, le fondazioni di origine bancaria devono corrispondere un quindicesimo dei loro proventi al mondo del volontariato – afferma il Csv –. Poi c’è il 5 per mille e la forma di finanziamento corrisposta dalla collettività, che viene avvicinata ad esempio quando si organizzano degli eventi pubblici. E infine i progetti, come i Pon (i Fondi strutturali europei) o quelli organizzati dalle Istituzioni pubbliche, per accedere ai quali bisogna però vincere un concorso».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quindi alla fine i soldi ci sono. Ma come fare a garantire l’onestà delle associazioni?  «Noi ci occupiamo del censimento di queste realtà ma non siamo tenuti a giudicare se esse siano o meno oneste – ammette la responsabile Csv - . Se un'associazione risponde ai requisiti imposti dalla legge 266 del 91 siamo costretti a censirla a prescindere dalle sue reali intenzioni». 
 
 


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