di Marianna Colasanto

"Uomini in gioco": quel gruppo di baresi che si riunisce per raccontarsi emozioni e debolezze
BARI - Un gruppo di signori baresi che si riuniscono e si dispongono in cerchio per raccontarsi a vicenda emozioni, debolezze e drammi personali. Sono i membri di "Uomini in gioco", impegnati dal 2001 nello sfatare un tabù: quello del maschio macho che di fronte alle difficoltà rifugge dal desiderio di confidarsi con i suoi "simili", pur di non tradire la sua appartenenza al "sesso forte".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Tutto nacque prendendo spunto dal libro "Per diventare uomini" - racconta uno degli otto fondatori, il 64enne docente universitario Vito Carnimeo -. L’autore è Robert Bly, poeta statunitense che organizzava incontri per esplorare la psicologia maschile. Il volume punta i fari sulle nostre fragilità, storicamente nascoste in nome del primato della virilità: un dogma ormai obsoleto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Discutere delle proprie difficoltà insomma non può essere più un'esclusiva delle donne. «Di fatto ci ispiriamo ai piccoli raduni femministi degli anni 70 - evidenzia il 72enne Orazio Leggiero, altro componente del collettivo - in cui le partecipanti mettevano in discussione sè stesse e il contesto politico e sociale in cui vivevano. Come loro, anche noi oggi sentiamo la necessità di confrontarci o, come appunto suggerisce il nome del nostro progetto, di metterci in gioco».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ed ecco che così vengono a galla tutte le curiosità e i timori sul rapporto con i figli, il partner e il datore di lavoro, ma anche altri temi come i traumi infantili, la malattia e la morte. Si va dunque oltre lo spirito cameratesco delle chiacchierate maschili, di solito circoscritte al mondo del calcio e delle donne.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma come funzionano le riunioni? «Non ci sono leader - spiega il 66enne Giampaolo Petrucci - perchè ognuno di noi ha la stessa importanza. Ci ritroviamo circa tre volte al mese cenando tutti assieme a turno nelle nostre abitazioni. Capita anche di incontrarsi in campagna o in un centro benessere: l'importante è che il clima sia conviviale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Sta al padrone di casa scegliere il tema della serata - continua il signore - che rimane oscuro ai commensali fino all'inizio del confronto: arrivare già "preparati" potrebbe infatti inibire il nostro desiderio di sfogo. Poi, quando viene reso noto l'argomento, ciascun membro racconta una propria esperienza personale, senza filtrare le emozioni provate».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Le regole sono poche ma ferree. «Nessuno deve sentirsi forzato a parlare - prosegue Giampaolo - ed è vietato interrompere, a meno che quest'ultimo non si stia rivolgendo agli altri per chiedere dei consigli. E soprattutto non esprimiamo giudizi: se riteniamo di dover approfondire la materia si fa un altro giro di racconti. Tutto dura al massimo un'ora e mezza e ha benefici terapeutici, visto che tiriamo fuori ciò che portiamo dentro da tempo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Capita inoltre che al centro della stanza venga posizionata una sedia vuota, sulla quale si trova idealmente una persona con cui i componenti desidererebbero comunicare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Una volta lì ci ho “messo” i miei genitori - rivela Giampaolo -. É stata l'occasione per esternare il mio affetto verso di loro, un sentimento che per pudore non sempre si riesce a manifestare. Da quel momento è scaturito uno "sblocco" che ha migliorato visibilmente il rapporto con mio padre e mia madre. C'è anche chi ha fatto "accomodare" i propri cari defunti, confessando quanto non erano riusciti a dir loro quando erano in vita: momenti davvero commoventi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Quello della sedia - aggiunge Vito - è un metodo valido per chiarire anche la fine delle relazioni. "Dialogando" con le “ex” cerchiamo di non ripetere gli errori del passato e di vivere così più serenamente le storie d'amore attuali».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Non a caso - svela Orazio - sono entrato a far parte di “Uomini in gioco” dopo aver divorziato: un avvenimento che faticavo a mandare giù. Ma grazie all'empatia dei nuovi amici ho superato il dramma e gestito al meglio il rapporto con i miei figli».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il gruppo è aperto a ulteriori partecipanti e dal 2007 fa parte di "Maschile plurale", associazione nazionale che affronta proprio le problematiche legate all'identità del “sesso forte”, con diverse iniziative a livello scolastico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Non riconosciamo il modello del patriarcato - conclude Giampaolo - e neanche quello del maschio apparentemente imperturbabile e allo stesso tempo infelice. Per fortuna i ragazzi di oggi stanno interrompendo la trasmissione di queste concezioni: l'uguaglianza di genere passa anche da qui, da "quello che gli uomini non dicono”».


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  • Fiorella Mastromarino - Bellissimo, è una forza e non una debolezza. Non sapevo di queste associazioni ma le ritengo molto belle, per gli uomini ma anche per le donne. Mal comune mezzo gaudio, e comunque è un modo piacevole oltre che intelligente per aiutarsi.


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