di Cassandra Capriati

La storia di Sophia, minacciata di morte in Yemen e accolta a Bari: «Ora sono libera»
BARI -  A sentirla parlare italiano così speditamente si fa fatica a credere che viva nel nostro Paese da soli quattro anni, eppure è questa la storia della 46enne Sophia (nella foto), fuggita nel 2013 dallo Yemen perché minacciata di morte e approdata a Bari dove è riuscita a crearsi una nuova vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ad Aden, la sua città natale, lei voleva solo essere libera: desiderava ad esempio guidare e vestirsi come voleva, ma questo non le è stato mai permesso. Non le è rimasto quindi che scappare in cerca di un futuro migliore. L’abbiamo incontrata, per capire in che modo sono costrette a vivere le donne in alcune zone del Medioriente e per farci raccontare la sua avventura barese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Come vivono le donne nello Yemen?

Vengono viste come esseri inferiori, buone solo per stare in casa a servire marito e figli: dicono che così è scritto nel Corano, ma io l’ho letto il Corano e non è vero. E così quando le donne decidono di agire a modo loro, non viene loro concessa la libertà di farlo. Non possono ad esempio vestirsi come desiderano, dovendo coprirsi integralmente con il niqab che nasconde tutto il corpo lasciando liberi solo gli occhi. Nelle scuole ci sono classi separate (maschi da una parte, femmine dall’altra) ed è considerato disonorevole per le donne andare in bicicletta e anche guidare l’auto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma non è sempre stato così…

No, prima il Sud e il Nord dello Yemen erano separati. La parte meridionale, colonia inglese per 130 anni, era molto più progredita rispetto a quella settentrionale, dominata da tribù con mentalità chiusa e arretrata. Nel Sud, dove abitavo io, le donne avevano un modo di vivere all’occidentale, potevano addirittura mettere gli abiti corti. Ma tutto è cambiato quando nel 1990 c’è stata l’unificazione: il Nord ha preso il comando, i gruppi fondamentalisti islamici hanno aumentato la loro influenza e soppresso anche nel sangue ogni tentativo di rivolta. La legge islamica è poi entrata a far parte del diritto yemenita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Cambiamenti che tu non hai accettato tutto di buon grado...

No, io ero un’attivista politica: per anni ho partecipato alle manifestazioni per la separazione, cucendo di nascosto la proibita vecchia bandiera dello Yemen del Sud. E ho sempre cercato di mantenere una mia pur piccola libertà: mettevo solo il velo solo per coprire il capo e guidavo la macchina. Ma ero considerata una persona “pericolosa” visto il mio ruolo di maestra, che in effetti io sfruttavo per aprire la mente delle mie alunne: ad esempio insegnavo loro ad andare in bicicletta, rompendo in questo modo un tabù. A tutto questo bisogna aggiungere che ero anche divorziata e quindi considerata al pari di una prostituta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quindi nonostante non ti si vedesse di buon occhio sei comunque riuscita a “farti valere”. Poi che cosa è avvenuto?


Sono cominciate ad arrivare le prime minacce. Inizialmente erano solo telefonate anonime: mi dicevano cose terribili ma non davo loro peso. Poi però hanno cominciato a cercare di sabotare la mia auto, hanno spaccato la finestra di casa mia con un sasso, fino a quano una sera mi si sono avvicinate due persone mascherate su un motorino e mi hanno detto: «Se non te ne vai via ti uccidiamo». A quel punto ho realizzato di essere seriamente in pericolo, ho avuto paura e ho preso la triste decisione di lasciare la mia famiglia e partire.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Come mai hai scelto proprio Bari?

Non l’ho scelta, è stata una coincidenza. Nel 2013 ho deciso di raggiungere l’Italia, dove sapevo sarebbe stato più facile chiedere asilo politico e mi sono recata dalla Polizia di Milano. Lì hanno capito subito che la mia richiesta era seria e mi hanno mandata a Bari, a Torre a Mare per la precisione, dove avevano iniziato un programma per la tutela delle donne. Ma in realtà ciò che volevo inizialmente era solo completare la trafila burocratica e raggiungere mia sorella a Berlino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma alla fine sei rimasta in Puglia: perché hai cambiato idea?

Perché ho incontrato Nicola. Ero andata in centro a trovare un’amica in un bar e quel giorno, in quel momento, c’era un uomo che stava effettuando delle riparazioni. Cominciammo a conversare, un po’ in italiano un po’ in inglese, e nonostante venissimo da due mondi completamente diversi mi sentì molto attratta da lui. E fu così che diventammo marito e moglie. Ora viviamo in una piccola casa nel quartiere Madonnella che abbiamo comprato con i nostri risparmi comuni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Cosa fai per vivere?

Intanto in questi anni ho cercato di imparare bene l’italiano, andando a scuola. Poi ho iniziato a fare tanti piccoli lavoretti, fino quando vista la mia conoscenza di quattro diverse lingue diverse, non sono stata contattata per diventare mediatrice per i migranti che sbarcano sulle coste italiane. In più l’Università di Bari ha riconosciuto il mio titolo di insegnante di inglese e ho ottenuto una borsa di studio per poter continuare a studiare le lingue.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un'ultima domanda: Bari ti piace?

Sì, c’è il lungomare che mi ricorda quello della mia città natale e mio marito, barese doc, mi ha insegnato a cucinare molti buonissimi piatti della tradizione. Ma a parte ciò, in questa città io mi sento libera di poter vivere la mia vita, come donna e come essere umano.


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