La storia del barese Rio: a 22 anni nell'Amazzonia peruviana tra tribù e pozioni magiche
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mercoledì 23 dicembre 2015
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di Isa Lonigro
«Mi trovo nei dintorni di Iquitos, la più grande città continentale del mondo non raggiungibile via terra: ci si può arrivare solo con l'aereo o attraccando nel porto cittadino che si affaccia sul Rio delle Amazzoni», ci ha spiegato il ragazzo. Contattarlo non è affatto semplice: si sposta in continuazione tra le varie popolazioni dell'area, molto spesso estranee al significato di corrente elettrica e una volta a settimana torna nel centro abitato dove può postare su Facebook foto e racconti dei suoi viaggi. (Vedi foto galleria)
«Sono sempre stato affascinato dalla possibilità di visitare il Perù - ricorda Rio -, così l'anno scorso decisi di realizzare questo piccolo sogno. Durante il mio soggiorno nella capitale Lima conobbi Mishimao, per tutti "il Maestro": è stato lui a convincermi che prima o poi sarei dovuto tornare in questa terra meravigliosa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così, terminati gli studi, il giovane è tornato in Sud America immergendosi in un mondo per noi difficile anche solo da immaginare. «Ho a che fare con persone che ignorano cosa sia la connessione internet - sottolinea il giovane -. Poco male direi: gli indigeni non smettono mai di parlare, hanno sempre qualcosa da raccontare. L'unica connessione che hanno é quella con Pachamama, la madre terra, divinità adorata sin dai tempi degli Inca».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Essere a fianco dello sciamano lo entusiasma. Mishimao è molto apprezzato dalle tribù locali in virtù dei suoi quarant’anni di esperienza in materia di piante curative, quasi delle pozioni magiche, i cui effetti sono poco conosciuti almeno dalla medicina ufficiale. In particolare è specializzato nella preparazione dell'ayahuasca, bevanda allucinogena utilizzata anche nelle cerimonie religiose del posto e nella somministrazione di kambò, sostanza tossica contenuta nella pelle di un'omonima rana dotata di presunte proprietà anestetiche e antibiotiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proprio questo veleno è stato usato da Rio per rimettere in sesto Cesar, il suo primo paziente, un 17enne colpito da alcune cisti renali. «L'effetto è immediato - scriveva a inizio novembre il barese su Facebook - vampate di calore, senso di vertigini, consapevolezza del battito amplificata, porte della percezione spalancate, vomito». A giudicare dalla foto postata, l'adolescente peruviano sembra essere rimasto soddisfatto del trattamento ricevuto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per procurarsi il kambò è stato necessario effettuare un'incursione nella fitta vegetazione amazzonica, anch'essa immortalata sul social network due settimane fa. «Salpiamo da Iquitos - si legge nel racconto di Rio -. Ad ospitarci è un bote di dieci metri per due, sprovvisto di tetto contro la pioggia. Sulla barca ci siamo io, il mio maestro, suo fratello e lo sposo di sua figlia. Dopo otto ore di navigazione giungiamo a destinazione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La meta è un villaggio sperduto nella foresta dove i quattro vengono accolti calorosamente con riso, pesce, platano e una bevanda particolare. «Si tratta del masado - così c'è scritto nel "reportage" del 22enne -, ossia yuca (patata peruviana), delicatamente masticata con la bocca di rosa di giovani donne indigene e sputata con amore in una bacinella dove in seguito verrà aggiunto alcool e polpa di ananas».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Durante la notte parte la ricerca della preziosa rana, considerata sacra dagli indigeni. È proprio Rio a scovarne un esemplare e a catturarlo, non prima di aver chiesto "il permesso" all'albero sul quale l'anfibio si nascondeva, secondo le usanze delle tribù locali. Le quattro zampe dell'animale vengono immobilizzate con dei lacci per cinque minuti, il tempo di raccogliere la sua secrezione velenosa prima di rimetterlo in libertà.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Missione compiuta: si può tornare a Iquitos, dove è possibile comunicare con i propri cari a casa e soprattutto cucinare e mangiare. «Nelle tribù la preparazione del cibo avviene a turni, una volta cucina uno, un’altra volta
un altro - conclude il barese -. Pasta, legumi e pesce, oppure più semplicemente riso e verdure. Chiaramente mi sono dovuto cimentare anch’io ai “fornelli” e tutti mi hanno chiesto a gran voce qualche piatto italiano».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Isa Lonigro
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