di Gianmarco Di Carlo - foto Sonia Carrassi

Indispensabili, "rumorosi" e a conduzione famigliare: sono i meccanici storici di Bari
BARI – Si trovano ancora in città, tra negozi e condomini: sono indispensabili ma al tempo stesso invisi per essere fonte di cattivi odori e rumori. Parliamo dei meccanici “storici” di Bari, officine diffusesi a partire dal Dopoguerra, periodo in cui le “quattro ruote” divennero un bene imprescindibile per tutti gli italiani. Da allora questi “negozi” hanno continuato a evolversi di pari passo col mondo dei motori e della tecnologia, pur rimanendo a conduzione prettamente famigliare.

A Bari ci sono quattro esperti di macchine che vantano più di 50 anni di attività: si tratta di Positano (fondata nel 1960), Sapone Vito (1964), Del Vecchio (1967) e Mallardi (classe 1970). Siamo andati a visitarle. (Vedi foto galleria)

Il nostro viaggio parte nel quartiere San Pasquale, all’inizio di via Amendola, lì dove quasi ad angolo con Via Cirillo si trova l’Autofficina Positano, situata al piano terra di un alto palazzo. Già da fuori sono ben visibili i due ponti di sollevamento, situati in un ambiente in cui il tempo sembra essersi fermato. Tutto qui è molto “vissuto”, a partire dai piani di lavoro su cui sono poste le chiavi inglesi.

Mentre veniamo “inebriati” dal forte odore di olio, facciamo la conoscenza del fondatore dell’officina: il 78enne Giuseppe Positano, che ci accoglie assieme a un operaio. «Tutto è iniziato quando avevo 12 anni, nel 1954 – racconta –. Vidi passare vicino a casa una bellissima Lancia Aurelia V6 dal rombo assordante e da quel momento capii che da grande avrei avuto a che fare con le auto».

Poco tempo dopo Giuseppe cominciò l’apprendistato. «I miei maestri, Luigi e Franco, erano gelosi della propria “arte” e mi insegnavano solo le basi – rammenta –. Però io li osservavo sempre attentamente per scoprire ed emulare le loro tecniche, fino a quando decisi di mettermi in proprio, aprendo nel 1960 il locale dove ancora lavoro».

«Sono passati tanti anni ma tutti i giorni sono qui ancora ad aiutare i miei collaboratori – continua –. Il mestiere è cambiato, si è fatto più difficile e anche più costoso per via della formazione e l’acquisto di nuovi strumenti. Ma questo non ci spaventa perché abbiamo clienti ormai affezionati che si fidano della nostra esperienza».

Prima di andare via, l’uomo ci mostra due auto d’epoca nel retro della bottega: sono un’Alfa Giulia e una Lancia Flavia 2000, entrambe in corso di restauro. «Per fortuna ci occupiamo anche di alcune “vecchiette”. È anche grazie a mezzi come questi – ammette Giuseppe – che tengo viva la mia passione».

Proseguiamo spostandoci nel quartiere Carrassi. Siamo in via De Amicis 106 dove, incastonata fra palazzi e negozietti, alza quotidianamente le serrande dal 1967 la Del Vecchio Carservice.

Non fosse per le insegne gialle e blu quasi non sembrerebbe di avere a che fare con un meccanico con più di mezzo secolo di vita: tutto appare riverniciato e moderno. Ci sono due ingressi adiacenti, uno simile a quello di un garage privato e un altro che porta negli uffici dell’accettazione.

Cominciamo da quest’ultimo dove troviamo il 48enne Francesco Del Vecchio, titolare dal 1989. «La nostra è una storia che dura ormai da tre generazioni – ci racconta –. Tutto cominciò con mio padre Nicola nel dicembre 1967. Aveva 24 anni e improvvisamente, dopo una vita nel mondo dell’autoriparazione, si ritrovò disoccupato e così decise di aprirsi un negozio tutto suo».

L’uomo ci mostra uno scatto che ritrae un gruppo di ragazzi in posa e una vecchia Fiat 600. «Quello al centro è lui insieme ad alcuni suoi collaboratori, qualche anno dopo aver aperto l’officina – ci dice –. All’epoca non c’era la burocrazia di oggi, così gli ci vollero solo pochi giorni per inaugurarla, il tempo di trovare il locale adatto».


Francesco stesso iniziò da bambino a interessarsi al mestiere frequentando l’azienda del papà: ne è riprova un’altra immagine in bianco e nero che lo immortala con una Fiat 500.

Ma tra le foto c’è anche un altro Del Vecchio: suo figlio Nicola “junior”, ritratto bambino con il nonno omonimo. «Ha iniziato a lavorare in bottega già nel 2008, poco più che 18enne», spiega il titolare.

Incontriamo proprio Nicola, oggi 30enne, occupato al vano motore di un veicolo. «Se molte officine della generazione di mio padre non esistono più è perché non hanno saputo rinnovarsi – afferma -. Noi abbiamo differenziato l’offerta introducendo ad esempio l’autorimessa e il noleggio. Ma non abbiamo sempre vita facile: in una zona centrale e abitativa come questa bisogna fare attenzione a non recare troppo disturbo con rumori eccessivi».

È ora il momento di dirigerci in viale Domenico Cotugno 19, nei pressi del centro sportivo Angiulli. Qui troviamo il meccanico Sapone Vito, la cui struttura si differenzia parecchio rispetto a quelle incontrate fino ad ora: è infatti un grande capannone industriale dotato di quattro ponti sollevatori e un ampio parcheggio.

Titolare è il 45enne Francesco Sapone, figlio del fondatore Vito. «Mio padre aprì la sua prima bottega nel 1964 nel quartiere Madonnella – riferisce –. Poi si trasferì a Carrassi dove rimase per decenni, ma a un certo punto decise di spostarsi più in periferia, sia per motivi di spazio sia perché i condomini si lamentavano di odori e rumori».

Nel giugno 2002 Sapone si trasferì allora in questa sede più decentralizzata, ma morì il mese dopo. Francesco, che collaborava con il padre già dall'età di 18 anni, raccolse il testimone e apportò numerose novità. «Presto divenimmo centro autorizzato da Fiat oltre che Lancia, marchio nel quale era specializzato papà – ci dice tra le altre cose -. È stata una mossa necessaria per sopravvivere in anni in cui la clientela è sempre più esigente».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mentre parliamo, gli operai testano una
bella Fiat 500 d’epoca all’interno del parcheggio. «Queste auto sono intramontabili – sorride il meccanico –. Ma l’impianto frenante di questo gioiellino ci dà grattacapo da quattro giorni. Con una macchina più recente un’anomalia simile si sarebbe risolta in un’ora».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per la nostra ultima tappa ci spostiamo nel rione Japigia. Qui, alla fine di viale
Japigia, prima che diventi via Gentile, si trova dal 1970 l’officina Mallardi. A “capitanarla” è il 72enne Giorgio Mallardi, grande appassionato del settore.

«Quando ero piccolo per strada con i miei amici facevo un gioco: se passava una macchina chiudevo gli occhi e cercavo di indovinarne il modello dal rombo del motore – ci confida –. A 12 anni iniziai così a fare il meccanico accanto al mio maestro Francesco. Nonostante fosse un po' restio a svelarmi tutti i suoi trucchetti, i suoi insegnamenti sono stati efficaci».

Nel 1970 Giorgio decise di lasciare il proprio riluttante “capo” per mettersi in proprio, col tempo contando anche sull’aiuto del figlio Giuseppe, oggi 50enne, che ha appreso il mestiere da lui.

Negli anni la Mallardi si è specializzata anche in altri ambiti e servizi che vanno dalla ricarica d’aria condizionata all’installazione di impianti a gas. «È anche grazie a questi nuovi servizi che siamo qui da tanti anni: ormai bisogna saper mettere mano ovunque – spiega Giuseppe –. Per questo motivo è nata la figura del meccatronico, professionista sia di meccanica sia di elettronica».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Prima di salutarci il signor Giorgio ci mostra dei “pezzi antichi”, tra cui il vacuometro, che serviva per regolare la carburazione delle auto d’epoca. Oggetti conservati per vetture sempre più rare e testimoni della longevità ed esperienza di questi storici professionisti.


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  • francesco quarto - Anni fa in uno dei preziosi libri dedicati a Bari da Vito Melchiorre, scoprii una foto che ritraeva lo staff di una "antica" officina meccanica. se non sbaglio era la Romanazzi, credo la rivale a quei tempi della Calabrese. Mi sorprese riconscere tra i volti dei meccanici, collaboratori del Boss, quello di un mio carissimo zio, Francesco Romito, che aveva poi intrapreso in proprio la stessa attività. Mostrai la foto alla zia Lenuccia e ai suoi figli, i miei cugini Lino, Mimmo, GIanni e Teresa, che rimasero molto colpiti e commossi nel rivedere il folto dello zio scomparso, se non erro, nel 1980/81. Ricordo zio Franco al primo compleanni di mio figlio, già sofferentem ma sempre sorridente, e caustico come sapeva esserlo solo lui. un bellissmo ricordo, rinnovato dal vostro piacevolissimo articolo. complimenti e continuate


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