di Nicola Imperiale

Bari, beni confiscati alla mafia: un terzo è abbandonato dalle associazioni
BARI – Compirà tra pochi giorni 15 anni la legge 109 del 7 marzo 1996 che prevede il riutilizzo “sociale” dei beni confiscati alla mafia. Attraverso questa norma lo Stato concede ad associazioni e centri culturali l’uso di appartamenti, ville o terreni che appartenevano alla criminalità organizzata. Sono i Comuni comunque a emanare (dal 2010) bandi pubblici per l’assegnazione gratuita dei beni immobili a chi desidera impiegarli per attività senza scopo di lucro a favore di  giovani, persone in condizioni di disagio sociale, ex detenuti, disabili o per promozione culturale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Solo in Puglia si contano 1126 beni confiscati, dei quali 145 a Bari città (113 immobili e 32 aziende). Una legge quindi positiva, che all’epoca fu sostenuta da una petizione che raccolse un milione di firme e che ha come scopo quello di restituire al “bene” ciò che si è tolto al “male”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Purtroppo però le buone intenzioni non sempre sono sufficienti a raggiungere risultati ottimali. A Bari ad esempio su 11 beni confiscati e concessi dal 2010 ad associazioni e cooperative sociali, 7 sono attualmente operativi, ma 4 (più di un terzo quindi), risultano non utilizzati o sono stati assegnati successivamente a famiglie indigenti per scopo abitativo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Con la lista dei beni confiscati tra le mani, siamo andati a vedere in che modo è stata messa in pratica la legge 109 nel capoluogo pugliese. (Vedi foto galleria)

Iniziamo il nostro giro dal centro storico di Bari e in particolare da piazza San Pietro. Al n.29 cerchiamo tracce del centro risorse “Albero che non c’è” nato nel 2012 per offrire servizi di orientamento e laboratori creativi per ragazzi con precedenti penali. Ma del centro non c’è nessuna traccia e l’appartamento ubicato in una palazzina storica è ora abitato da una famiglia. Il Comune infatti una volta riavuto il bene dall’associazione, può scegliere se darlo in uso gratuito a un’altra organizzazione o cambiarne la destinazione d’uso trasformandolo in “casa popolare”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella stessa piazza, al n. 22, sono operative però le associazioni Libera e Arci. Anche al n. 25 la “Mutua studentesca”, dopo i lavori di adeguamento e ristrutturazione dovrebbe iniziare la sua attività di falegnameria, con l’obiettivo è di creare una “scuola di arte e mestieri” per i giovani “difficili”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Ci addentriamo per le vie di Bari vecchia e arriviamo in vico del Carmine 13. Anche qui stessa scena: nessuna traccia di “Sguardi di donne”, sportello di ascolto e sostegno alla genitorialità. I panni stesi evidenziano come la palazzina indipendente sia usata come semplice abitazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Usciamo a questo punto da Bari Vecchia per andare nel quartiere Libertà. Siamo in via Principe Amedeo 508, dove ci aspettiamo di trovare “Spazio Sociale” uno sportello informativo per stranieri affidato alla cooperativa “Solidarietà”. Purtroppo qui troviamo solo una serranda chiusa e una targa metallica affissa al muro. Chiediamo agli abitanti del quartiere, ma ci dicono che non ricordano l’ultima volta che hanno visto aperto questo sportello. E al numero telefonico della cooperativa che dovrebbe gestirlo non ci risponde nessuno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Nello stesso rione è attiva comunque l’associazione culturale Giraffa (in via Napoli 308), che si occupa di fornire aiuto a donne vittime di violenza. Giraffa gestisce anche un altro immobile dove ha sede la “Casa dei diritti delle donne”: un rifugio sicuro di cui non forniamo l’esatta ubicazione. Mentre nel quartiere murattiano, in via Dante 65,  troviamo l’Unac, associazione dell’arma dei Carabinieri. Infine nel quartiere Japigia, in via Loiacono,  è presente “Casa Shalom”, un centro che accoglie immigrati minorenni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci spostiamo dal centro di Bari per recarci a questo punto a Santo Spirito, in Corso Umberto I n. 57. Qui il Comune ha assegnato la storica villa Artemisia alla cooperativa sociale Caps (Centro Aiuti Psico-sociale). Nel progetto l’ex residenza di un boss locale si sarebbe dovuta trasformare in un eco ostello gestito dai ragazzi che uscivano da comunità educative, così da aiutarli a reinserirsi nella società. Purtroppo però davanti ai nostri occhi si presenta uno spettacolo ben diverso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La villa è chiusa, il citofono sulla sinistra è staccato e sul grande portone metallico spunta un ramo d’edera, segno di un lungo abbandono. Unico segno evidente della presenza del Caps è la targa metallica posta sull’entrata. Con qualche difficoltà riusciamo anche a dare un’occhiata all’interno attraverso le strette feritoie laterali del cancello, ma ciò che possiamo scorgere è solo un spiazzo con erba alta e incolta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In generale quindi la situazione dei beni confiscati a Bari è in chiaroscuro: la maggior parte dei beni assegnati alle associazioni sono diventati sedi di sportelli e centri culturali, ma come visto più di un terzo non ospita realtà funzionanti. Ma a questo punto è necessario farsi una domanda: perché le associazioni fanno a gara per aggiudicarsi questi immobili per poi decidere a un certo punto di non utilizzarli? La risposta ce la fornisce Alessandro Cobianchi, referente pugliese per l’associazione antimafia Libera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Il motivo è semplice - afferma Cobianchi - tra la confisca e l’assegnazione passano diversi anni  durante i quali il bene è lasciato a se stesso, abbandonato all’incuria e al deterioramento. E così le associazioni una volta avuto l’immobile si ritrovano in mano un locale che spesso è da ristrutturare pesantemente, con costi troppo gravosi per piccole realtà. E' solo questa la causa dell'abbandono - tiene a sottolineare l'attivista -.La malavita spesso fa sentire sgradite le associazioni con insulti e occhiatacce, ma vere e proprie minacce non sono mai arrivate. Del resto anche gli ex proprietari capiscono che noi siamo solo i destinatari finali di una complessa e fin troppo lunga pratica burocratica».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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