di Anna Maggio

Docenti, in migliaia con le valigie in mano: «Obbligati a partire per avere un lavoro»
BARI – «Questo è un trasferimento coatto, una deportazione. Abbiamo fatto tutti domanda sotto ricatto perché non ci possiamo permettere di non lavorare». La 36enne barese Cecilia è una delle tante insegnanti arrabbiate e turbate, che a causa delle riforma del governo Renzi (“La buona scuola”), saranno costrette a emigrare per lavorare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La storia è questa. Per assorbire e stabilizzare i 150mila docenti precari, il Governo ha deciso di redistribuirli in tutta Italia. Conseguenza: il barese o il napoletano che non hanno una cattedra disponibile nella propria provincia, saranno trasferiti magari a Verona o a Trento, dove comunque verranno assunti a tempo indeterminato. A decidere le assegnazioni è un sistema informatico, che “sceglie” tra 100 province italiane diverse indicate dall’insegnante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Certo, qualcuno potrebbe affermare, “anche se lontano da casa però un lavoro il governo lo sta trovando agli insegnanti”. Il che è vero, il problema però è che i docenti non hanno avuto scelta. Tra di loro ci sarebbe stato anche chi avrebbe rinunciato volentieri al ruolo, pur di rimanere a casa (anche se da precario), ma il governo è stato categorico: “O si accetta l’assegnazione o si viene esclusi per sempre dalle graduatorie”. E quindi i professori (soprattutto del Sud) hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco e dopo aver preparato le valigie sono partiti verso mete lontane. Perché di fatto la maggior parte delle cattedre sono disponibili al Nord.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ora, noi non vogliamo entrare nel merito della riforma, però è chiaro che queste nuove norme stanno portando a una rivoluzione nella vita di tante persone, che magari a 40 o 50 anni, magari con figli o genitori da mantenere, magari con progetti già avviati sono ora costretti a cambiare radicalmente la propria vita. Sembra quasi che i docenti siano stati messi di fronte a una scelta: la famiglia o il lavoro. Ma alla fine la maggior parte di loro ha detto sì al “viaggio della speranza”, pur di non perdere la possibilità di essere assunti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La 37enne Annarita, professoressa di italiano e latino, è dovuta partire in fretta e furia a Pistoia. «Fino alla fine sono stata combattuta e non sapevo se accettare o meno, ma alla fine ho detto sì – racconta -. A Bari però pago già un mutuo di 600 euro al mese e ora mi trovo in difficoltà dal punto di vista economico, visto che qui in Toscana ho affittato una stanza dove vivere. Alla mia età sono stata costretta a chiedere aiuto ai miei genitori, perché con tutte le spese che ho il mio conto sta andando in rosso. Tra l’altro mi sarei dovuta sposare quest’anno: chiaramente ho rimandato tutto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


C’è chi invece ha avuto una proroga grazie al fatto di aver accettato una supplenza, ma prima o poi dovrà fare i conti con l’addio alla propria terra. E’ questo il caso della 42enne barese Rosa, insegnante di inglese. «Sono già stata nominata per andare a Bologna – dice -. Andrò l’anno prossimo e la vita della mia famiglia verrà rivoluzionata, visto che ho intenzione di portare mio marito e mia figlia con me».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Stessa situazione in cui si trova la 39enne docente d’italiano Antonella. «Dovrò partire per Modena il prossimo anno scolastico, adesso ho una supplenza qui a Bari – sottolinea -. Ma questo per me rappresenta un dramma, perchè ho una madre invalida, vedova e io sono l’unica figlia che può accudirla visto che mio fratello vive lontano. Non so come farò». Lucrezia, insegnante 38enne di latino e italiano, si trova nella stessa situazione di Antonella. «Convivo con mia madre che ha una grave disabilità fisica e mentale. E’ impensabile per lei venire con me e quindi la preoccupazione per l’anno prossimo è grande. Dovrei andare a Modena», afferma.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Oltretutto pur di assegnare un posto di lavoro, il sistema informatico non ha preso in considerazione l’esperienza e le capacità di ogni professore, non tenendo conto della materia insegnata fino a quel momento dal docente stesso. «Noi che abbiamo anche l’abilitazione sul sostegno siamo state trattate da “tappabuchi”, ci hanno messo lì dove c’era bisogno e c’erano più posti. Hanno combinato solo un guaio. Io non ho mai lavorato sul sostegno ma ho sempre insegnato italiano e latino», sottolinea Annarita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
«Quando mi è arrivata la proposta di lavorare l’anno prossimo a Verona nelle scuole medie ho pensato che non mi veniva riconosciuta un’identità professionale – dice ancora Cecilia -. Mi sono sempre rapportata a ragazzi delle superiori, dai 14 ai 18 anni. Ogni età ha bisogno di competenze diverse: che ne può sapere un computer? E poi le le mie radici sono qua: il pensiero di dovermene andare il prossimo anno scolastico non mi da’ pace».


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