di Katia Moro

Emergency, Cecilia Strada a Bari: «Il problema profughi? Siamo noi a volere le guerre»
BARI - «Se siamo stati tra i principali venditori di armi in Afghanistan, Siria e Somalia, dovremmo sapere che abbiamo alimentato guerre che hanno come inevitabile conseguenza quella di vedere popolazioni in fuga alla ricerca di asilo politico nei nostri Paesi. Perché ci meravigliamo?». Parole di Cecilia Strada (nella foto di Valentina Cassano), presidente dell’associazione umanitaria italiana Emergency (e figlia del fondatore Gino Strada), che sabato 26 settembre ha presenziato a un incontro nella sala consiliare del palazzo della Provincia di Bari. Abbiamo colto l’occasione per intervistarla.  

Ci sono guerre che a noi occidentali sembrano non riguardare, almeno fin quando non siamo costretti a dover fare i conti con le conseguenze di questi conflitti…
 
Sì, perché oggi più che mai siamo desensibilizzati e quasi ciechi di fronte al fenomeno della guerra, che sembra non esistere e non riguardarci perché troppo lontana dalle nostre terre. A questo ci hanno portato anni di falsa propaganda instillata quotidianamente dai media che mascherano l’intervento militare diretto degli occidentali in Oriente e in Africa, come “guerra umanitaria” o “missione di pace” o “supporto ravvicinato”. La verità è che la guerra non piace a nessuno e per farla accettare bisogna convincere della sua necessità e bontà tramite la propaganda. Ma non si può umanizzare la guerra, la si può e la si deve solo negare anche perché non ha mai funzionato, ha sempre fallito. E il caso dell’Afghanistan, da cui provengono buona parte dei profughi oggi, ne è un esempio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quindi se oggi è esploso il fenomeno della migrazione dei profughi nelle nostre terre la causa è anche da rintracciare nell’intervento diretto degli occidentali in Oriente e in Africa?

Certo. Perché se decidiamo di rovesciare governi e dittature in altri Paesi contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli attraverso delle guerre da noi sostenute, non possiamo poi improvvisamente svegliarci una mattina e gridare allo scandalo perché le nostre città sono inondate da gente che ha tutto il diritto di fuggire da morte sicura, terrorismo, fame e povertà. E non possiamo poi sostenere che non abbiamo la forza per occuparci di loro se la nostra economia si è giovata dei grossi profitti dell’industria delle armi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché l’Italia vende le armi anche a chi non dovrebbe…

In Italia quest’anno compie 25 anni la legge 185 del 1990. Questa legge vieta l’esportazione delle armi verso Stati in stato di conflitto armato, responsabili di accertate gravi violazioni alle Convenzioni sui diritti umani e la cui politica contrasti con l’articolo 11 della nostra Costituzione (per cui l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa). Ebbene, l’Italia in questi 25 anni ha venduto armi per 36 miliardi di euro a 131 paesi tra cui ad esempio Siria, Libano, Arabia Saudita, Pakistan, Eritrea e Nigeria. Sono forse Paesi che non rientrano nella casistica elencata dalla legge? E perché i media non parlano mai di questo? Perché i parlamentari non ne discutono? Sono troppi gli interessi economici in ballo? E non è certo un caso che la maggior parte dei profughi oggi giunga da quei paesi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Ma l’interesse economico dell’Occidente in quei Paesi non deriva solo dalla vendita delle armi. Possiamo affermare che il “colonialismo” non è mai terminato?

Assolutamente sì. La nostra non è solo una responsabilità storica risalente al colonialismo iniziato nel XVI secolo con le grandi esplorazioni geografiche europee e continuato con l’imperialismo del XIX secolo. Se per colonialismo intendiamo il dominio economico e lo sfruttamento delle risorse, del lavoro e del commercio di un popolo, allora possiamo dire che questo è ancora oggi fortemente praticato dagli occidentali in Africa e in Asia. Se noi retribuissimo equamente il lavoro e le materie prime di cui ci appropriamo di quei Paesi, la gente del posto non vivrebbe in condizioni economiche tali da sentirsi costretta alla fuga verso i nostri paesi arricchiti. E a questo punto non possiamo più permetterci di distinguere tra profughi politici e migranti economici, secondo le orrende etichette oramai in voga, ma abbiamo l’obbligo di rimediare alle nostre responsabilità dirette provvedendo a entrambe le situazioni da noi provocate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Detto delle responsabilità, ritiene comunque che l’Europa sia in grado di fronteggiare una simile invasione di persone?

Intanto io non parlerei di invasione. I numeri non sono quelli di un invasione. Il solo Pakistan ospita lo stesso numero di rifugiati che si è riversato in tutta l’Europa. E poi si calcola che il 9% del Pil nazionale sia prodotto dagli immigrati, che tra l’altro stanno ripopolando un paese che nell’arco di un trentennio sarebbe altrimenti destinato a una popolazione di soli anziani. Il problema è che andrebbero accolti diversamente e trasformati in cittadini capaci di pagare le tasse e di contribuire alla nostra crescita economica piuttosto che impiegarli nel lavoro nero. Venendo qui in Puglia ho potuto visitare realtà agghiaccianti come il ghetto di Rignano Garganico e l’ex fabbrica Set in via Brigata Regina a Bari, dove gli immigrati vivono in condizioni disumane tra rifiuti, escrementi, topi, mancanza d’acqua potabile e addossati in spazi ridotti senza avere nulla da fare per tutto il giorno. Qualunque occidentale dopo una sola settimana in quelle condizioni avrebbe perso il senno e commesso uno sproposito. C’è da stupirsi che non siano ancora scoppiate epidemie in quelle condizioni igieniche o scontri davvero violenti a causa della forzata convivenza di tante etnie prolungata per mesi e mesi. Ma se ciò dovesse accadere ne saremo tutti direttamente responsabili.


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  • Morteza - Mi è piaciuto.Uno delle vittime della situzione della guerra; 3guerra monduale secondo Bergoglio; è il pensiero critco paralizzato che lascia senza risposta un oppinione pubblica che vuole capire cosa sta succedendo ma si deve accontentare dei inappropriate giustificazione del fenomeno.


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