di Katia Moro

Scuola, alunni con ''bisogni educativi speciali'': «Scaricati sui docenti»
BARI – Si chiamano studenti Bes (Bisogni educativi speciali) ed è un acronimo che serpeggia nelle scuole da poco più di un anno, da quando è apparsa la prima direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 che li ha identificati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Chi sono i “Bes”? Sono gli alunni che provengono da famiglie disagiate a livello economico o culturale e quindi ragazzi che ad esempio comunicano solo in dialetto, che non hanno nessuno che li segue nei compiti a casa e che spesso hanno dei problemi comportamentali, alunni cosiddetti “borderline”: violenti e disadattati.  Ma sono anche gli studenti stranieri che non conoscono una parola della lingua italiana e neanche i nostri usi e costumi, situazione frequente in una società che tende sempre più ad essere multietnica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ora, la novità è che il ministero dell’Istruzione ha disposto per i Bes, come per gli alunni disabili e con disturbi dell’apprendimento, l’obbligo di redigere un Pdp (piano didattico personalizzato) e attivare misure compensative e dispensative, ovvero un minor carico nei compiti, tempi più lunghi per le verifiche, uso di strumenti alternativi per la semplificazione, riduzione di contenuti e obiettivi. Di fatto questi studenti devono essere seguiti con maggiore attenzione e per loro devono essere attivati una serie di accorgimenti per aiutarli nell’integrazione e nel percorso scolastico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma a chi spetta tutto ciò? Logico, agli insegnanti, che da quando la direttiva è stata resa pubblica hanno cominciato a mugugnare e a lamentarsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Il problema è che tutti questi impegni ulteriori gravano sui docenti ancora una volta senza alcuna retribuzione aggiuntiva», si sfoga Antonella Cutrignelli, vicepreside della scuola media Duse del quartiere San Girolamo di Bari. «L’anno scorso - aggiunge la Livia, insegnante del liceo artistico De Nittis - mi sono occupata degli alunni Bes per un istituto comprensivo che conta ben 600 alunni. Un compito che è stato difficilissimo. In più alla direttiva ministeriale del 2012 e alle due circolari del 2013 non sono seguiti dei decreti attuativi, per cui non essendoci una legge definitiva si brancola ancora nel buio. Molti colleghi non sanno tuttora cosa devono fare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


È su questo punto che insiste Gaetano Calabrese sindacalista dell’Usb (Unione sindacati di base) scuola. «Agli insegnanti – dice - manca un’adeguata formazione, vengono mandati allo sbaraglio. Inoltre è ai docenti stessi che si chiede di individuare e diagnosticare un alunno Bes, ma non ne hanno le competenze. La scuola ha bisogno di altre figure: dovrebbe avere uno psicologo fisso a propria disposizione e gli insegnanti devono rimanere tali e non svolgere compiti che non spettano loro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il problema è che in un città come Bari, i ragazzi che hanno alle spalle famiglie con disagi economici e culturali sono tantissimi. Specie in alcuni quartieri più “popolari” un docente potrà trovarsi a insegnare in classi a “maggioranza Bes”. «Io lavoro nel quartiere Libertà di Bari– sottolinea Francesca, insegnante della scuola primaria dell’istituto Garibaldi -  e in una scuola che si trova in un rione a rischio come il nostro, con tanti alunni stranieri e tanti studenti con forte disagio sociale e familiare, realizzare i progetti ministeriali non è affatto semplice. Scaricano su di noi questo problema: si tratta di fare un doppio lavoro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«In più alla scuola per realizzare davvero l’obiettivo dell’”inclusività”  dei ragazzi con questo tipo di bisogni, mancano le risorse – sottolinea Ezio Falco, sindacalista della Cgil -. Per l’implementazione dei Bes sulla formazione dei docenti è stato previsto 1 milione di euro quest’anno e 1 milione per il prossimo. Nient’altro. Se si vogliono produrre i cambiamenti desiderati è necessario investire risorse adeguate, altrimenti si continuerà ad agire con quell’“arte di arrangiarsi” a cui i docenti sono ormai fin troppo abituati». 


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