di Mattia Petrosino - foto Christian Lisco

Quando i panni non si lavano in famiglia: la storia e l'evoluzione delle "tintorie" di Bari
BARI – «Un tempo si lavava tutto a mano in grandi vasconi e si stirava con il ferro a carbone, oggi invece si utilizzano le lavatrici elettriche e il ferro a vapore. La tecnologia si è quindi sviluppata, ma la qualità del nostro servizio è rimasta la stessa». Sono le parole del 45enne Ignazio, proprietario di una delle lavanderie di Bari: esercizi commerciali sorti in città alla fine dell’800 che continuano ad andare incontro a coloro che hanno la necessità di pulire abiti più delicati, stirare indumenti troppo ingombranti o togliere dai vestiti macchie difficili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Negozi che nel corso degli anni si sono evoluti, a partire dal nome. Fino a qualche decennio fa infatti erano definiti “tintorie”, visto che in caso di chiazze eccessive ricoloravano completamente i capi di abbigliamento. Da allora i tempi sono cambiati, ma i lavandai sono sempre lì, pronti a trattare con detersivi senza additivi chimici quei “panni sporchi” che proprio non si riescono “a lavare in famiglia”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A Bari si contano più di 50 lavanderie, alcune delle quali vantano anche mezzo secolo di attività. Tra queste La perfetta lampo (1955), Igea (1957) e La perugina di Ungaro (1965). Siamo andati a trovarli. (Vedi foto galleria)

Cominciamo il nostro tour dal quartiere Madonnella, lì dove in via Celentano si trova “La perfetta lampo”. Ad accoglierci in un grande atrio circondato da capi cellofanati di qualsiasi genere sono i proprietari: i fratelli Vito e Ignazio Roca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«A fondarla con la denominazione di “Tintoria Lampo” fu nostro nonno Vito insieme con sua moglie Elisabetta – ci dicono mostrandoci delle foto degli anni 50 che raffigurano la vecchia insegna del negozio, all’epoca situato in via Manzoni –. Il nome fu scelto per la velocità con cui lavoravano. Nel giro di pochi anni furono poi affiancati dal figlio Fedele, ovvero nostro padre: colui da cui abbiamo imparato il mestiere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I fratelli ci conducono nel laboratorio, nel quale sono presenti una lavatrice a secco nera adoperata per la lana o la seta e tre lavatrici che permettono il lavaggio ad acqua, un processo utilizzato perlopiù per indumenti in tessuto sintetico o di cotone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Si tratta di macchinari diffusisi negli anni 80 – affermano i due –: prima infatti i panni si lavavano a mano in grandi vasconi. Anche le asciugatrici sono cambiate: ora funzionano a vapore. Mentre un tempo il tessuto si faceva asciugare in un essiccatoio alla cui base c’era il fuoco vivo. Questo procedimento però spesso procurava dei danni, visto che se non si stava attenti la fiamma poteva arrivare sino al vestito, bruciandolo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La nostra attenzione ricade poi su una cabina verticale che contiene un particolare macchinario. «Esiste da sempre e serve per la fase di pre-stiro, utile a eliminare le grinze più evidenti – spiega la 40enne Katia, una delle collaboratrici –. Solo che anni fa il meccanismo non era chiuso: il vapore si disperdeva così nell’ambiente inondandolo di calore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ultima fase, prima della riconsegna del capo al cliente, è la stiratura. Davanti a noi vediamo tre donne operare a una velocità supersonica. «Lavoro con la famiglia Roca da 32 anni – confessa la signora Nicoletta – e ne sono cambiate di cose. Tra le tante l’asse fornito oggi di due pedali: uno per aspirare il vapore (così che il capo non rimanga umido) e il secondo per “traspirarlo”: il meccanismo soffia infatti dell’aria affinché non si formino le cosiddette chiazze lucide».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci spostiamo ora in corso Alcide De Gasperi: qui di fronte al Carcere si staglia dal 1957 la lavanderia “Igea”, specializzata nel lavaggio a secco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una volta entrati ci ritroviamo in un ambiente predominato da armadi in legno nei quali sono appesi gli abiti da consegnare. A venirci incontro è la proprietaria: la 62enne Antonia Carrante. «Il nome dell’attività deriva dall’omonima ditta di vendita impianti di lavaggi a secco, di cui mio padre Rocco era rappresentante – racconta –. Il suo commercio lo portò ad aprire questa tintoria, della quale si occupò mia madre aiutata da alcune stiratrici».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Sulla parete sinistra vi è infatti una foto in bianco e in nero che raffigura Rocco in Russia, intento a vendere una delle antiche macchine di lavaggio. Mentre dietro al bancone notiamo l’ “anima” del locale: la lavatrice nera a secco che risale a più di 40 anni fa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Funziona ancora perfettamente – sottolinea la padrona di casa –. È un tipo di macchinario in cui non viene utilizzata l’acqua ma un solvente liquido e incolore chiamato percloroetilene che pulisce tessuti più delicati come lana, seta, pelle e lino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Inserito il carico – ci spiega il collaboratore Luigi –, la sostanza viene versata dal lato posteriore dell’imponente lavatrice, poi sarà il serbatoio a prelevarla e inserirla nella botte. Una volta in circolo il percloroetilene toglie lo sporco che viene trattenuto dai filtri. Infine il bucato passerà alla fase di asciugatura, che avviene sempre all’interno della stessa macchina».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non più utilizzato è invece lo “strizzapanni”, che vediamo poggiato a una parete: serviva per togliere l’acqua in eccesso. Così come ormai in disuso è lo splendido ferro a carbone in ghisa nera. Prima si stirava con questo attrezzo dotato di un contenitore con sopra un coperchio al cui interno veniva posto il carbone rovente. Il rischio naturalmente era che, a causa della temperatura molto alta, i capi si bruciassero.  

«Oggi invece vengono usati ferri a vapore ed è raro che ciò avvenga», dichiara Rosaria, stiratrice da 42 anni che ci svela un segreto del mestiere. «È preferibile stirare l’indumento o al rovescio o con un panno provvisto di retìna che funga da isolante – afferma mentre è all’opera con un pantalone –. In questo modo l’indumento non verrà con il cosiddetto “lucido” e le cuciture saranno piegate correttamente».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per visitare la terza lavanderia ci rechiamo a Ceglie del Campo, dove in corso Vittorio Veneto si trova “La perugina di Ungaro Giuseppe”, chiamata così per via del fatto che le lavatrici un tempo venivano comprate a Perugia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A fondarla nel 1965 furono i coniugi Gennaro Ungaro (lavandaio) e Maria Di Gioia (stiratrice). «Si tratta dei miei genitori – ci spiega il 51enne Giuseppe, attuale proprietario –. Ho intrapreso questa strada sin da ragazzino grazie agli insegnamenti di mio padre, che mi ha trasmesso la passione per il lavoro. Sono infatti io in prima persona a occuparmi del lavaggio a secco e ad acqua».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Davanti a noi vediamo una grande e moderna lavatrice a secco di 12 chili dotata di tre serbatoi. Sulla parte superiore sono presenti una serie di pulsanti, tra cui un “giullare” che si illumina nella fase di asciugatura per indicare che tutto sta andando per il meglio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giuseppe ci conduce poi nella parte retrostante colma di grucce con su poggiati pantaloni e abiti cellofanati. Intanto il signore prende un cappotto beige misto lana e individua una macchia di sudore all’altezza dell’ascella.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«In questi casi è necessario effettuare il pre-lavaggio perché la sola lavatrice non riuscirebbe a risolvere il problema – ci spiega illustrandoci il procedimento –. Una volta posizionato il capo sul banco da lavoro, immergo la spazzola in un detergente sgrassatore delicato e la strofino sulla parte interessata fino a quando vedo la chiazza scomparire. Dopo qualche minuto potrò quindi inserirla nella macchina che “darà la botta finale”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Su un altro bancone notiamo invece due “pistole” utilizzate nel caso in cui il lavaggio non abbia sortito il risultato desiderato. La prima contiene un liquido a base acquosa con un po’ di sapone che viene adoperato nel caso di macchie “rognose” quali caffè, vino o cioccolato. La seconda invece ha all’interno il percloroetilene e serve principalmente per combattere le macchie di olio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Chiazze che riusciamo a togliere solo noi – afferma con orgoglio Giuseppe prima di salutarci –. Anche se ormai con tutti questi indumenti sintetici e di poco prezzo che ci sono in giro in molti preferiscono evitare il trattamento in lavanderia: non ne varrebbe la pena. Per fortuna c’è però chi si veste ancora “bene” e per questi clienti ci saranno sempre le tintorie a salvare e ridare vita ai loro vestiti di qualità».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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