Gli spazzacamini, ci sono ancora: «Ma oggi è un mestiere meno pericoloso»
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venerdì 3 luglio 2015
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di Mariangela Dicillo
Parliamo al passato perché ormai i camini si puliscono in maniera diversa, attraverso l’utilizzo di apparecchiature tecnologiche create ad hoc. Anche se è solo dagli anni 90 che gli spazzacamini hanno cominciato a essere tutelati e nel 1992 è nata anche un’associazione: l’Anfus (Associazione nazionale fumisti e spazzacamini) che raccoglie, rappresenta e assiste chi esercita questa professione, garantendo la sicurezza sul lavoro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche se proprio l’associazione ci riferisce che ci sono zone della Sicilia, della Calabria e della Valle d’Aosta dove ancora ci sono persone che lavorano come un tempo, raschiando le pareti della canna fumaria con gli strumenti tradizionali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Il riccio, la raspa, lo scopino e le corde erano gli attrezzi che ci servivano per pulire: era davvero faticoso», sottolinea l'85enne giovinazzese Antonio, che per decenni ha svolto la professione in maniera tradizionale e che ha ereditato questo mestiere dal padre che lo praticava all’inizio del 900.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Quando ero molto piccolo, negli anni 30 – ricorda l’uomo - mio padre tornava a casa con la faccia, il collo, le mani e i vestiti tutti neri, ma nonostante le fatiche affrontate durante il giorno era felice di vederci: il suo sorriso bianco sembrava splendere tra tutta quella fuliggine. E noi ci sporcavamo a nostra volta quando l’abbracciavamo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Antonio già da quando aveva pochi anni cominciò ad aiutare il papà e divenne poi un professionista delle canne fumarie, fin quando non ha dovuto spiegare anche lui ai propri figli questo strano mestiere. «Non scorderò mai e parole di mio figlio da bambino – dice un po' emozionato -: “Babbo insegnami a entrare con te nel fuoco, insegnami ad arrampicarmi come te”, mi diceva mentre faceva roteare in aria il riccio. Ma non ho mai voluto che imparasse questo lavoro, ho sempre sognato per lui un futuro migliore del mio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A differenza di Antonio, il 74enne barese Vincenzo ha invece tramandato il mestiere a suo figlio, così come aveva fatto con lui suo padre. «Mio padre lavorava tutti i giorni, festivi compresi, dalle 7 di mattina alle 9 di sera, quando però io ero già a dormire – rammenta l’uomo -. Solo d'estate riuscivamo a passare un po’ di tempo insieme, prima che crollasse sul letto sfinito. Ho sofferto tanto la sua lontananza, anche perché non ha mai voluto che lavorassi con assieme a lui. La professione infatti l’ho imparata da altri maestri, di nascosto al mio papà. E così quando mio figlio ha deciso di fare lo spazzacamino, ho cominciato a farlo lavorare con me, per stargli così sempre vicino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche se Antonio non aveva tutti i torti nel volere che il proprio figlio prendesse altre strade: fare lo spazzacamino era pericoloso. Prima di tutto per le sostanze tossiche che si liberavano durante la pulizia. «Mio padre si è ammalato per il suo lavoro – parla a tal proposito lo spazzacamino di Giovinazzo –. Ricordo che in punto di morte tossiva e dalla sua bocca fuoriusciva polvere nera. Il suo naso continuò a essere sporco di catrame anche quando aveva da tempo smesso di lavorare. «Del resto per noi l'unica pseudo-protezione era un sacco marrone di tessuto spesso sulla testa – sottolinea Vincenzo – che però, oltre a peggiorare la visuale nelle canne fumarie già buie, era molto soffocante».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E poi c’erano le cadute. «Era l'autunno del 1936, me lo ricordo come fosse ieri – dice sempre Antonio –. Avevo accompagnato il mio papà per un lavoro e non avevo neanche sei anni. Lo aspettavo giù intento a raccogliere la cenere in un bustone, mentre lui era in cima alla canna fumaria per ripulirla internamente. A un certo punto l’ho visto precipitare giù: cadendo si spezzò una gamba». E anche a lui, all'età di 13 anni è capitata una brutta avventura: «Ho inalato dei pezzi di residui di materiale bruciato rimasto nel camino e ho passato in ospedale i due giorni seguenti tra conati di vomito e insufficienza respiratoria».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi come detto tutte queste disavventure non potrebbero mai verificarsi, perché per pulire le canne fumarie non serve più intrufolarsi all'interno. Come ci spiega il 28enne spazzacamino Daniele, di Bitritto: «Ai nostri giorni si usano macchine moderne dotate di computer, in grado di scattare anche foto e girare piccoli video. Si inseriscono direttamente nei camini o nelle stufe più moderne. Fanno tutto loro, anche se chiaramente c'è bisogno comunque di un occhio attento che controlli l’operato della macchina: il nostro, anche se ora più “tecnologico”, è un lavoro che non morirà mai. Almeno fin quando esisteranno i camini».
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Scritto da
Mariangela Dicillo
Mariangela Dicillo