di Marco Madalli

Gay, Finocchio, Troia, Ciola: come sopravvivere a Bari con un cognome "ingombrante"
BARI - “Purtroppo il nome che hai inserito non è stato approvato dal nostro sistema”. È il glaciale avviso apparso sul pc del 36enne barese Marco quando qualche anno fa ha deciso di iscriversi a Facebook. Il suo "errore"? Quello di avere un cognome “particolare” che non soddisfa i rigidi requisiti del noto social network: Gay. Già, perchè in Italia chiamarsi Bocchino, Figa, Troia o Finocchio può essere un grosso problema, tra sfottò quotidiani, scherzi pesanti e situazioni imbarazzanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Alla fine il profilo su Facebook sono riuscito a crearlo – ci svela il giovane - ma solo dopo un lungo scambio di mail in inglese con gli amministratori del sito. Ho dovuto persino allegare la fotocopia di un documento di identità per dimostrare la bontà delle mie intenzioni. Da allora comunque è una costante ricevere richieste di amicizia da parte di uomini che mi scambiano per un omosessuale, nonostante abbia pubblicato tante foto in cui compaio con mia moglie».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma altri grattacapi si erano già manifestati nella vita reale. «Da piccolo diversi "simpaticoni" chiamavano a casa per insultarci - continua il 36enne -. Abbiamo così rinunciato al telefono fisso, anche se poi le prese in giro sono proseguite attraverso il citofono. Ovviamente sono stato deriso anche a scuola e tuttora evito di prenotare tavoli nei ristoranti : i proprietari penserebbero immediatamente a una burla. In generale cerco di difendermi con il mio motto: "di nome, ma non di fatto", non per omofobia, ma perchè è semplicemente la verità».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Difficoltà simili a quelle incontrate da un suo concittadino, il 25enne Francesco Finocchio. «Alle medie venivo apostrofato continuamente come "ricchione" - spiega il giovane - e all'Università provavo vergogna ogni volta che i professori mi "annunciavano" davanti a tutti prima di un esame. Per fortuna ho una fidanzata che da sempre mi incoraggia: grazie a lei ho compreso che non devo sentirmi a disagio per così poco».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Meno diplomatico, almeno da ragazzo, si è dimostrato Franco Ciola, noto parrucchiere attivo in corso Vittorio Emanuele, nel cuore di Bari. Nel capoluogo pugliese il suo cognome, di origine lucana, è la variante volgare del termine "pene": non è un caso che si chiamasse proprio così il "mitico" trio dedito agli scherzi telefonici coloriti che negli anni 80 spopolarono letteralmente in città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«In classe facevo spesso a botte per reagire agli sfottò - ricorda l'acconciatore - e rincorrevo con la bicicletta chiunque si avvicinasse al negozio di famiglia con gli stessi intenti. E pensare che mio padre Donato, il fondatore della nostra attività, dopo 18 anni passati in Lussemburgo si era trovato di fronte alla scelta di trasferirsi a Torino o a Bari: scelse la Puglia, ignaro di ciò a cui sarebbe andato incontro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo un traumatico inizio però papà Donato riuscì capovolgere la situazione a suo favore. «Decise di fare una massiccia campagna pubblicitaria della bottega - prosegue Franco - e con un nome come il nostro non fu difficile attirare la curiosità dei clienti. Certo, un po' di imbarazzo rimane quando ci si presenta ad altre persone e quasi non sembra vero quando trovandoci in altre città nessuno fa battutine sulle nostre generalità».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E anche la 40enne Maria Troia si è presa le sue belle rivincite. «Da bambina litigavo in continuazione e spesso mi chiudevo in camera piangendo da sola - rammenta la donna -. E a nulla serviva spiegare agli altri che il mio cognome si pronuncia con l'accento sulla "i". Oggi però sono felicemente sposata e ho un ruolo importante nell'azienda in cui lavoro. Un bel riscatto nei confronti di chi, soprattutto tra i banchi di scuola, diceva che chiamandomi così non sarei andata da nessuna parte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è possibile liberarsi da quella che per alcuni può risultare una "prigionia"? La legge va incontro a questo bisogno e stabilisce la possibilità di cambiare i cognomi "ingombranti": la variazione viene pubblicata sull'albo pretorio comunale ed entra automaticamente in vigore dopo 30 giorni se nessuno si oppone. A questa procedura, di competenza dei prefetti, ricorrono circa tremila italiani all'anno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Mia figlia ha preso questa decisione e ora porta il nome della mamma - puntualizza Franco - e anche due delle mie sorelle non si chiamano più "Ciola"». «Alcuni miei cugini hanno cambiato la "y" in "i" - conferma Marco Gay - ma io non lo farò mai: sono orgogliosamente legato alla mia famiglia e non ho motivo per snaturare la mia storia con la sostituzione di una lettera».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Anch’io - conclude Maria – ho deciso di tenermi il mio cognome, rispondendo a tono alla stupidità di chi prova ad offendermi e usando spesso l'autoironia. Alla fin fine mi ritengo fortunata, pensate se i miei genitori mi avessero chiamata Vera: lì si che sarebbero stati guai seri».


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