di Salvatore Schirone

L'ostia, a San Marcello se la fanno loro: costa meno e non si attacca
BARI - Durante l'ultima cena, "Gesù prese il pane..." Questo racconta il Vangelo e questo ogni buon cattolico rivive durante la messa. Ma quello che riceve dal sacerdote per la comunione tutto sembra fuorché pane. La parrocchia di San Marcello di Bari ha detto basta, e da oltre 15 anni utilizza un'ostia molto diversa: fatta in casa, anzi in chiesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Il parroco, don Gianni, simpaticamente chiamato “don Gi”, racconta: «In seminario ci insegnano che i segni dei sacramenti sono significativi. Poi vieni in parrocchia e vedi che il cero pasquale non è di cera ma di plastica, che il battesimo, che significa "immersione", si fa con due gocce di acqua e che il pane dell'eucaristia è una cosina bianca insapore che si attacca al palato ed è difficile mandar giù». «Noi cattolici per fare la comunione dobbiamo fare un doppio atto di fede - aggiunge scherzosamente - primo, credere che quello che mangiamo sia il corpo di Cristo, secondo, che quella cosina tonda e bianca sia pane».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Ed è così che appena giunto a San Marcello, don Gianni ha deciso di cambiare, utilizzando un'ostia fatta in casa che sapesse davvero di pane: grazie ad alcune volenterose signore e a una semplice macchinetta acquistata da Roma, il pane per la messa "fai da te" è diventata una consolidata tradizione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Liliana è il capo chef e ci invita ad assistere alla preparazione del "pane di Gesù" (vedi foto e video). «Non sono sola, - dice - siamo un gruppo di signore e ci incontriamo tutte le mattine del lunedì. Con me ci sono Franca e Mariella fisse, mentre io ed altre sei signore ci alterniamo». Siamo andati a incontrarle, nella sala parrocchiale che loro chiamano "Bethlem", che in ebraico significa appunto "casa del pane".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Basta un chilo di farina e acqua fresca per preparare circa mille particole, sufficienti al fabbisogno di una settimana. «Nei tempi forti di Pasqua e Natale, ne facciamo molte di più» spiega Liliana, mentre ci mostra le fasi di preparazione. L'acqua viene aggiunta alla farina lentamente fino a creare una pastella fluida, ma compatta, che successivamente Franca lascia cadere lentamente sulla piastra della macchinetta ben riscaldata. Chiude la pressa per qualche secondo, ed ecco, la sfoglia è pronta con le sacre incisioni. Successivamente Mariella provvede al ritaglio preciso delle ostie una per una. Quella centrale più grande viene usata dal sacerdote, le altre più piccole vengono distribuite ai fedeli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

 
Cosa hanno di speciale queste ostie? «Tutto il segreto è nel procedimento manuale - spiega Liliana - che permette di ottenere una sfoglia croccante e più spessa. Poi le conserviamo in un apposito contenitore che la mantiene sempre fresche. Nulla a che vedere con quelle che comunemente si acquistano, che anche se durano più a lungo, sono senza gusto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
In più il costo delle ostie così viene azzerato (giusto qualche euro di farina e acqua). L’alternativa è comprare le particole su internet (un pacco di 500 ostie del diametro 3,8 cm costa 4,50 euro) oppure rivolgersi ai tre principali rivenditori della città che le vendono a 3,50 euro. Chiaramente si parla di ostie industriali che provengono da varie parti d’Italia e che vanno a pesare sulle casse parrocchiali fino a 1.000 euro all’anno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Don Franco, il parroco della Cattedrale, ha scelto una via di mezzo, preferendo rifornirsi dalle suore clarisse di Mola: «In un anno spendiamo in tutto non più di 400 euro».  Anche se Liliana tiene a sottolineare la differenza: «Sì, le monache hanno un sistema più sofisticato di produzione, ma è quasi industriale. Noi invece le facciamo davvero a mano, una per una, con amore e con spirito di servizio alla comunità. E’ per questo che sono più buone».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Come san Tommaso le tocchiamo e le assaggiamo: è vero, non si attaccano al palato e sono buonissime.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)



Il video: come a San Marcello preparano le ostie


 


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