di Katia Moro

 Con "pecore attive" ad Altamura il vello non si butta più: «Ci facciamo lana e borse»
ALTAMURA – Come ogni anno con l’arrivo della bella stagione le pecore sono state tosate per evitar loro caldo, sporcizia e infezioni. Ma che fine fa il vello “estirpato” dagli ovini?  Un tempo nel barese veniva utilizzato per l’imbottitura dei materassi. La lana delle pecore “mosce” pugliesi (l’altamurana, la gentile di Puglia e la leccese) non è mai stata adatta infatti per la produzione di tessuti: si tratta di una lana povera e che pizzica. Ma con l’avvento di nuovi generi di materassi il manto dell’ovino locale ha perso anche questa funzione, diventando nel tempo semplicemente un rifiuto speciale da dover smaltire.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma il vello delle pecore di fatto si butta. Ad Altamura però il 35enne artigiano Filippo Clemente con la sua associazione dal nome suggestivo, “Pecore attive”, si è messo in testa di recuperarlo per produrne di nuovo lana (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Altamura è sempre stato conosciuto come il paese delle tre “elle”: lenticchie, lino e lana – sottolinea Filippo -. Ebbene nessuna di queste tre originarie ricchezze viene oggi valorizzata. Così nel 2010 abbiamo deciso di partecipare al concorso regionale “Principi attivi” vincendolo con il progetto di trasformare il manto delle pecore se non in tessuti almeno in accessori quali scarpe, pantofole, lampade, borse, zaini prodotti a mano o al telaio. Iniziativa che è stata anche selezionata per l’esposizione del design tessile mondiale a New York».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Filippo ha trovato un valido partner in un giovane allevatore: il 23enne altamurano Donato Mercadante. «Io lavoro in un’azienda agricola e agrituristica avviata dal mio bisnonno nel 1945 e che da 15 anni è stata trasformata in una moderna impresa zootecnica - racconta Donato -. Ci estendiamo su tre ettari che ospitano oltre ad alcune capre ben 600 pecore che vivono comodamente suddivise in due stalle: una per quelle da latte con gli agnellini appena nati, l’altra per quelle “asciutte” (cioè prive di latte). I costi dell’allevamento sono oggi esorbitanti, ecco perché ho accettato la sfida di Filippo di sperimentare un mercato di alto livello che possa far ammortizzare le spese».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella sua azienda Donato utilizza tosatori formati e specializzati che forniscono a “Pecore attive” una lana selezionata manualmente. Viene suddivisa in balle differenziate a seconda della qualità: più raffinata quella delle spalle e del petto, più soggetta a usura e all’impatto con erbe infestanti quella prelevata dalle altre parti del corpo. Finito il lavoro l’associazione invia il tutto negli impianti di lavaggio che in Italia sono presenti solo a Prato e Bergamo. Di qui si passa alla filatura nella filande di Biella, Lanciano o Prato. I feltri vengono realizzati invece ad Altamura.  

«Tutto questo comporta però costi molto alti –conclude Filippo -. Oggi un filato di lana di pecora razza gentile di Puglia, non bianca e non pura, ci costa 70 euro al chilogrammo. E’ chiaro che se vorremo dare un futuro a questa impresa dovremo creare qui in Puglia un impianto di lavaggio e una filanda. Vedremo, perchè io nelle nostre pecore ci credo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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