di Angela Pacucci - foto Antonio Caradonna

Carbonara, il paese divenuto rione: «Dal patrono al dialetto, noi non siamo baresi»
BARI – E’ un vero e proprio paese, con la sua villa comunale, il suo borgo antico, il suo patrono, il suo dialetto e i suoi 20mila abitanti, eppure amministrativamente rappresenta “solo” un quartiere periferico di Bari.

Parliamo di Carbonara, rione situato a cinque chilometri a sud del centro cittadino. Da sempre comune autonomo, le venne tolta la sua libertà nel 1928, quando un regio decreto stabilì che sarebbe dovuta diventare una frazione del capoluogo pugliese. Addirittura poi nel 1970, a seguito di una decisione del consiglio comunale, perse anche lo status di frazione per essere trasformato in un semplice quartiere. Si tratta dello stesso iter a cui andarono incontro le vicine Ceglie del Campo e Loseto, “paesi” però ben più piccoli rispetto a Carvnár.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma nonostante siano passati decenni dall’addio all’”indipendenza”, i carbonaresi continuano a sentirsi una “cosa a parte” rispetto a Bari, seguitando a perpetrare antiche tradizioni che hanno origine sin dal Medioevo. Il borgo infatti nasce nel lontano 1156, dopo la distruzione di Bari da parte di Guglielmo il Malo che costrinse i baresi a rifugiarsi in campagna andando a creare una nuova città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo andati a farci un giro nel “paese” (vedi foto galleria), raggiungendolo da corso Alcide De Gasperi. La via delle ville infatti, dopo aver cambiato nome in via Giuseppe De Marinis, porta dritti nella grande piazza Umberto I: la “villa”. Come tutti i paesi della provincia anche Carbonara ha un suo giardino pubblico che funge da fulcro per la vita del centro abitato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si tratta di un’area di cemento quadrata e circondata da numerose palme dove i pensionati si riuniscono per giocare a carte e i ragazzi per improvvisare infuocate partite di pallone. Nella piazza incontriamo l’81enne Peppino, uno dei membri del comitato “Uniti per l’autonomia”, che dal 2005 si batte per staccare il rione da Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«C’eravamo quasi riusciti – ci dice l’anziano – ma nel 2010 il consiglio regionale obbedendo all’allora sindaco Michele Emiliano, bocciò il disegno di legge per l’indipendenza di Carbonara, Ceglie e Loseto. Noi però non ci sentiamo “cittadini” e soprattutto i baresi non ci hanno mai considerato come appartenenti alla “stessa razza”, trattandoci sempre come una specie di “colonia”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché magari Peppino esagera, ma le differenze tra con Bari sono consistenti, a partire dal patrono. Se “Bari città” venera infatti San Nicola, a Carbonara il protettore è un altro: San Michele Arcangelo. Tutto il borgo è costellato di edicole dedicate al santo, con la sua caratteristica spada pronta a uccidere il drago e a ottobre ci si ferma per le grandi feste in suo onore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

San Michele è venerato nella chiesa matrice di Santa Maria del Fonte. L’edificio religioso è raggiungibile incuneandosi in una delle tante strette viuzze che caratterizzano la parte più vecchia del borgo: un reticolo di stradine a chianche e di basse palazzine con minuscoli balconi. Un vero e proprio centro storico quindi, che identifica non certo un quartiere ma un paese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Lasciata sulla destra la chiesa della Madonna del Carmine risalente al 1878, imbocchiamo via di Carbonara Duomo per ritrovarci davanti alla chiesa matrice, costruita nel 1974 in stile barocco, in ricordo della più antica chiesa crollata nello stesso punto nel 1763.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui incontriamo il 33enne Valerio che ci spiega come Bari città stia facendo di tutto per “imporre” San Nicola come patrono del quartiere. «Per dirne una – sottolinea – in paese non si fa più festa a scuola ad ottobre, nei giorni dedicati a San Michele, ma a maggio, quando si festeggia San Nicola. E poi anche dal punto di vista economico il Comune continua a tagliare fondi per le feste ritenute “secondarie”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un motivo in più insomma per “allontarsi” da Bari. Ma l’orgoglio non si limita al patrono: qui ad essere celebrato è anche un alimento. Perché come tutti i paesi che si rispettino anche Carbonara ha il suo prodotto tipico: il pane. 

«Viene cucinato in un forno in pietra alimentato da legna arricchita da bucce di mandorle – ci spiega il 50enne Giuseppe Ambrosio, che possiede un forno storico in via della Stazione -. Durante la cottura, più o meno a metà, viene tirato fuori e spennellato con acqua fresca: questo gli conferisce croccantezza e lucidità. Per essere “autentico” deve avere la crosta alta almeno un centimetro e mollica cosparsa di grandi bolle, sintomo di buona lievitazione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giuseppe parla sì in barese, ma con un’inflessione diversa: qui infatti le vocali molto più chiuse rispetto a quelle “cittadine”. Insomma persino il dialetto qui è diverso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo aver fotografato (e assaggiato) una bella forma di pane, non ci resta ora che ritornare indietro per andare a visitare i resti del castello medievale. E lo facciamo attraversando corso Vittorio Emanuele, una strada correlata da vecchie insegne di negozi di alimentari e palazzotti di inizio Novecento, che ci conduce in piazza Garibaldi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Corso Vittorio Emanuele, Piazza Garibaldi: insomma qui i luoghi hanno gli stessi nomi di quelli baresi. «Ed è un problema – afferma sempre Valerio, che ci fa un po’ da guida per la cittadina -. Spesso arriva della posta indesiderata, destinata a cittadini che abitano in strade omonime. Così come a volte  mi è capitato di incontrare turisti persi alla disperata ricerca delle strade di Bari».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La riprova di quanto dice Valerio l’abbiamo quando incrociamo un cartello del Municipio di Bari che indica “Piazza Castello…di Carbonara”. Insomma anche in Comune sono stati costretti a distinguere questo castello da quello di Bari, per evitare che qualcuno si potesse confondere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ed è proprio in questa piazza che concludiamo il nostro viaggio, davanti ai resti di un’antica fortezza di cui è rimasto ben poco, adibita oggi ad abitazioni private e sulla quale sono stati eretti nel tempo alcuni palazzotti. E’ il simbolo di un paese che non esiste più, che un tempo rivaleggiava con la vicina Ceglie del Campo e che ora si trova costretta ad allearsi con gli antichi “avversari” per combattere un nemico ben più grosso: la “tirannica” città di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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