di Anna Maggio

A Pasqua c'è la "scarcella", il dolce tradizionale di Bari: «Ma in pochi la comprano»
BARI – Lo abbiamo già scritto: Bari a differenza di altre città italiane non ha mai avuto una vera e propria cultura pasticciera. Eppure il capoluogo può vantare a Pasqua un dolce tipicamente pugliese: si tratta della “scarcella”. Ha la forma di una ciambella, va decorata con delle uova sode ed è carica di significati simbolici tramandati nei secoli. (Vedi foto galleria)

Una leccornia antica, ma che in realtà, soprattutto negli ultimi anni, non riscuote più molto successo: a Pasqua infatti anche i baresi preferiscono acquistare altri dolci, come l’uovo di cioccolato o la colomba. Uno scarso consenso che non può essere certo legato al prezzo, abbastanza accessibile, visto che il costo di una scarcella si attesta mediamente sui 5 euro, variando in base alla grandezza. Probabilmente influisce il suo essere poco zuccherata e un po’ “secca”, simile più a un tarallo che a un dolce vero e proprio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ogni anno riusciamo a venderne poco più di un centinaio: molte di meno rispetto al passato - afferma ad esempio Anna, proprietaria di una pasticceria in corso Vittorio Emanuele -. Ad acquistarle è più che altro chi ha il "priscio" di vedere a tavola un prodotto della tradizione. I pezzi che non sono stati comprati rimangono comunque in vetrina anche dopo Pasqua: si tratta infatti di un dolce che si conserva per più di un mese».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Peccato perché sono tante le storie che riguardano questo dolce. Ad esempio si dice che un tempo veniva regalato in base al numero di uova sode usate per decorarlo: quelle con un uovo ai bambini, con due alla fidanzata, con tre alla suocera. C'è poi chi le dipingeva di rosso, colore che secondo antiche credenze allontana ogni influsso malefico. «Prima – conferma Carla, titolare di una pasticceria di Carrassi – le scarcelle venivano regalate in un apposito cestino di dolciumi alle suocere che quindi ricambiavano in due modi diversi: con un uovo di cioccolato se il dono era stato offerto dalla nuora oppure con una camicia se l'omaggio era arrivato dal futuro genero in procinto di sposarsi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Francesca, 85enne signora del centro storico, da mezzo secolo sforna scarcelle direttamente nella sua abitazione. «Ne vendo solo una decina - confessa l'anziana - principalmente a quei clienti affezionati che nel resto dell'anno si riforniscono da me per le orecchiette fatte in casa. E pensare che un tempo ricevevo anche richieste particolari, tipo quella di usare un uovo sodo di papera: con i suoi due tuorli era la metafora di un corpo con due cuori e quindi dell'amore di coppia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Perché la scarcedd, così come viene chiamata in dialetto, si prepara con ingredienti piuttosto semplici ed è quindi possibile anche prepararla in casa. In una ciotola si mescolano farina, zucchero, lievito e un pizzico di sale, ai quali si aggiungono poco alla volta un uovo sbattuto, del latte tiepido, olio extravergine di oliva e un po' di scorza grattugiata di limone. Nel frattempo si rassoda un altro uovo e lo si lascia raffreddare senza sgusciarlo. Prima dell'infornata si staccano dall'impasto alcune piccole strisce che servono a "imprigionare" l'uovo sodo nel dolce. Si tratta di un accorgimento legato alla probabile etimologia del suo nome, il verbo "scarcerare": il riferimento è al battesimo, che secondo il cattolicesimo è l'unico mezzo con cui l'uomo può liberarsi dal peccato originale commesso da Adamo ed Eva nei confronti di Dio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il risultato finale è un grosso biscotto di solito circolare che ingloba per l'appunto l'uovo da "scarcerare" nel momento in cui viene servito. Le varianti alla ricetta originale sono comunque numerose: spesso la forma non è quella classica ma ricorda conigli, cestini, borsette, colombe, cuori o pecorelle, inoltre non di rado vengono aggiunti dei cioccolatini, della glassa o altre uova di abbellimento che la rendono più accattivante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Eppure come detto i baresi continuano a preferire dolci più “industriali”, anche se c'è chi si è tolto una bella soddisfazione grazie a questa singolare specialità gastronomica. «Anche da noi c'è un evidente calo di richieste, soprattutto negli ultimi cinque anni - sottolinea il signor Fiore, gestore dell'omonimo panificio del borgo antico -. Nel 1984 però inviammo 20 scarcelle a forma di colomba larghe circa mezzo metro in Vaticano. Papa Wojtyla apprezzò molto il regalo e ci inviò una lettera di ringraziamento che da allora conservo gelosamente nel nostro negozio». (Vedi galleria fotografica)


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  • alfonso.palieri - IL TERMINE SCARCELLA DERIVA DAL VENEZIANO "SCARSELA",tasca. erano dei sacchetti che i veneziani portavano alla cintola.
  • alfonso palieri - Buonasera. Ritengo ci sia un errore; il termine deriva dal veneziano scarsela, che significa tasca, e fu fatto conoscere proprio dai veneziani questo dolce. All'epoca era, difatti, molto popolare tra i marinai .


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