di Marianna Colasanto

I corsi di autodifesa: «In caso di aggressione mai fare gli
BARI – «Se ci aggrediscono non possiamo pensare di fare gli “eroi” usando la forza: lo scopo dell’autodifesa è proprio quello di evitare un pericoloso scontro fisico». Parole del 58enne barese Carlo Milella, istruttore di arti marziali, che però nei suoi corsi di autodifesa non insegna a “combattere” ma più che altro a «fare in modo di tornare a casa illesi». Il maestro si ispira infatti al “Kaisendo” (di cui è direttore nazionale italiano), un metodo che punta sulla prevenzione e su un approccio “psicologico” nei confronti dell’aggressore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Innanzitutto: che cos’e’ il kaisendo?

E’ un metodo di autodifesa che nasce negli anni 80 a Cuba partendo dagli insegnamenti dello jujitsu, un’antica arte marziale giapponese. La sua particolarità è che cerca di evitare lo scontro fisico: se questo avviene si assiste a un fallimento del metodo. Nel kaisendo sono fondamentali i concetti di “prevenzione” e di “approccio”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qual è il significato di prevenzione?

E’ il prestare attenzione a una serie di aspetti quando si è fuori casa. Si va dall’evitare di portare la borsa in corrispondenza della strada per evitare di essere facilmente scippati, all’individuare subito le uscite di emergenza quando entriamo in un locale. Un classico esempio è quello dell’orologio. Se per strada una persona ci chiede l’ora, non dobbiamo abbassare lo sguardo ma al contrario mostrargli il polso per far sì che sia lui a leggere il quadrante. In questo modo manteniamo sempre il contatto visivo con colui che ci sta di fronte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


E se scatta l’aggressione come bisogna comportarsi? Che “approccio” bisogna avere?

Ad esempio un buon metodo è l’uso della “guardia mascherata”: significa porre le braccia in avanti e distendere i palmi delle mani verso il “nemico”. Si tratta di una comunicazione non verbale che invita alla calma e che allo stesso tempo ci mette nella giusta distanza per evitare eventuali colpi. E poi è bene alzare la voce: per attirare l’attenzione dei passanti e per inibire il nostro “avversario”. Non si tratta  di un aspetto scontato, noi in palestra ci alleniamo a farlo, perché c’è sempre il rischio di bloccarsi davanti al pericolo, di rimanere inermi. Al contrario bisogna agire e chiaramente scappare. Occhio: una volta fuggiti è necessario capire al volo dove rifugiarci, evitando di entrare nei portoni che possono diventare vicoli ciechi, ma scegliendo invece negozi o posti più affollati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lei cosa risponde a chi afferma che basta praticare una qualsiasi arte marziale per potersi difendere al meglio?

Che sbaglia di grosso, perché anche un agonista che pratica uno sport da combattimento può entrare nel panico quando si trova in una situazione di pericolo reale. Se ci si allena per una competizione non viene messo certo in campo un fattore come la paura.  Nei corsi di autodifesa si insegna invece proprio a gestire il terrore, attraverso esercizi fisici come il training autogeno, ma soprattutto lavorando sui nostri atteggiamenti quotidiani.


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