di Valeria Milano

Nel tarantino c'è
TARANTO -  In dialetto tarantino lo chiamano “U’ cuenz” e vuol dire conforto, consolazione. E’ la millenaria pratica per cui alla morte di una persona amici e vicini di casa preparano una cena coi fiocchi ai congiunti del defunto. Nulla di nuovo, lo si faceva già nell’antica Roma, solo che in molti paesi della provincia tarantina (da Castellaneta a Massafra, da Mottola a Pulsano) è ancora un’usanza viva e particolarmente sentita. La si ritrova anche in Salento dove è chiamata “U’ cunsulu” e nel barese dove è denominato "U' cunzl".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Lo scopo è proprio quello di consolare, di far dimenticare almeno per un attimo il dolore che si sta provando – spiega il 70enne Armando di Mottola, che di “cuenz” ne ha vissuti parecchi -. Spesso diviene un allegro banchetto in cui si esaltano le virtù del defunto senza cantilene, né pianti, ma ricordandolo con divertenti aneddoti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un po’ quello che avviene negli Stati Uniti (e che si vede in tanti film), dove viene organizzato un ricevimento in casa dei parenti più stretti della persona morta, che accolgono così chiunque voglia far loro le condoglianze. La differenza è che qui sono gli amici a portare del cibo ai congiunti e non il contrario, cercando così di compensare il bisogno frustrato di affettività: infatti tra i vari viveri offerti ci sono anche molti dolci.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Quando pochi giorni fa è morta la nonna di una mia amica – afferma la 40enne Caterina, di Massafra – mi sono preoccupata di preparare brodo di pollo e verdure. Anche se poi abbiamo anche ordinato delle pizze a domicilio. E durante la sera abbiamo ricordato le opere della signora defunta, benefattrice molto conosciuta in paese».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutto viene organizzato e portato dagli amici: dalle vettovaglie alla biancheria. Offerenti che poi avrenno cura di riordinare prima di andare via.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
In passato U’ cuenz veniva preparato in maniera ancora più scrupolosa. «Si disponeva il cibo in grandi cesti di vimini - ci dice Maria, 90enne di Castellaneta- in cui era contenuto ogni ben di Dio, dalla pastasciutta al brodo, dalla carne (in particolare pollo con patate o con peperoni), alle verdure crude, dai formaggi alla frutta per finire con biscotti e dolci. E il tutto durava per otto giorni, durante i quali la famiglia essendo in lutto non poteva né doveva fare nulla. Non poteva nemmeno spazzare in casa: sarebbe stato come scacciare l’anima del defunto che ancora si aggirava tra le pareti domestiche».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Regola non scritta ma importantissima ancora oggi è quella per cui chi riceve “U’ cuenz” deve poi restituirlo alla prima occasione. Altrimenti il rischio è che il morto si rivolti nella tomba.


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