di Irene Coropulis - foto Valentina Rosati

Bari, il centro della Croce Rossa Militare: «Dall'800 in prima linea nelle grandi emergenze»
MODUGNO – Forniscono assistenza sanitaria alle forze armate impegnate in missioni di pace e di guerra e intervengono in situazioni di grande emergenza soccorrendo chi è in difficoltà. Sono gli uomini del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, una componente “speciale” della nota organizzazione di volontariato civile che è sottoposta alla disciplina riservata a soldati e ufficiali.

Sì perché chi fa parte di questo contingente è equiparato a un militare. Dovendo accompagnare in prima linea l’Esercito, la Marina o l'Aeronautica è infatti tenuto a indossare la divisa mimetica, a prestare giuramento e a organizzarsi all’interno di una gerarchia che prevede gradi e stellette (pur non portando armi).

In Italia ci sono 17mila volontari arruolati, di cui 4mila dipendono dal centro di coordinamento del Meridione situato a Modugno, in provincia di Bari. Sotto la giurisdizione di questa base (sino al 2009 sita in via Napoli, a Bari) rientrano infatti cinque regioni del Mezzogiorno: Puglia, Basilicata, Calabria, Molise, Campania.

Siamo quindi andati a visitare questa “caserma” situata alle porte di Modugno, nei pressi dell’ipermercato Auchan. (Vedi foto galleria)

Ci troviamo in traversa Campolieto, stradina sulla quale ci appare subito un cancello azzurro con una guardiola sormontata dall’emblema della Croce Rossa. A venirci incontro sono il 51enne maggiore Carlo Bosna e il 42enne tenente Vito Attolico, rigorosamente in uniforme.

Prima di farci visitare il centro, i due ci parlano delle origini di questo antico Corpo. «La sua storia affonda le radici nell’Ottocento, quando le cosiddette Squadriglie di soccorso al seguito del Regio esercito prestavano soccorso ai feriti durante la Terza guerra d’indipendenza – affermano -. Basti pensare che la sezione barese nacque nel lontano 1886. Con il tempo l’organizzazione si è strutturata in tre diversi reparti: militare, civile e quello comprendente le infermiere, le cosiddette “crocerossine”».

Oltrepassiamo quindi l’inferriata e ci ritroviamo in uno spiazzo sul quale sorge un grande capannone che ospita tutti gli uffici. Prima di visitarlo accediamo però all’area destinata ai mezzi di soccorso. (Vedi video)

Siamo circondati da autocarri verde militare dotati di container. All’interno di questi ultimi c’è tutto quello che può servire per sopravvivere per 72 ore: un generatore di corrente, acqua potabile, una radio, tende e materiale sanitario. Si tratta di posti medici avanzati che se integrati possono trasformarsi in veri e propri ospedali mobili.

C’è poi un prefabbricato grigio che che può essere smontato e ricomposto come postazione da utilizzare nelle zone d’emergenza. È una piccola “casetta” fornita di corrente elettrica, riscaldamento, sedie e tavolini.  

Ma è arrivato il momento di dirigersi verso l’edificio principale. Siamo dentro e percorriamo alcune scale per raggiungere l’ufficio del 55enne comandante Domenico Savino.

Davanti alla sua stanza notiamo dei cimeli risalenti alla Seconda guerra mondiale custoditi in una teca, tra cui una maschera antigas, un elmetto e le carte d’identità di alcuni volontari periti durante il terribile conflitto.

«Oggi invece è la pandemia che ci tiene costantemente occupati – afferma Savino -. Siamo stati impiegati in tutta la Penisola per allestire le postazioni per i tamponi e i vaccini».


I loro compiti, così come avviene per le forze armate, non si limitano infatti alle missioni di guerra, ma si allargano anche a tragici eventi quali emergenze sanitarie, terremoti, alluvioni o salvataggio dei migranti in mare. I volontari (tra cui ci sono anche medici, infermieri e psicologi) sono quindi tenuti a allestire un ospedale da campo, fornire viveri, soccorrere feriti e assistere i parenti delle vittime.

Prima di salutare il comandante osserviamo la sua giacca costellata di nastrini, tracce di una lunga carriera. «Sono entrato quando ero appena diciottenne – ci dice con orgoglio Savino-. Prima prestavo soccorso all’estero, ma anche a Bari la determinazione non manca».

Mentre torniamo al piano terra ascoltiamo provenire dai vari uffici inflessioni dialettali diverse. Pugliesi, lucani e calabresi stanno infatti dando il loro contributo, congelando per qualche giorno i propri impegni lavorativi e familiari. Tra di loro c’è il 20enne foggiano Leonardo De Santis. «Studio musica e il Conservatorio mi ha chiesto di suonare nella banda del Corpo – racconta –: è stata l’occasione per conoscere questa realtà di cui sono diventato parte integrante».

Le nostre guide nel frattempo ci mostrano alcune attrezzature, tra cui un container (shelter nel gergo tecnico) all’interno del quale sono stoccate le tende per gli ospedali da campo. «Queste ultime sono in esoscheletro – afferma Bosna -: vengono preferite alle pneumatiche che in luoghi caldi come l’Iraq tendevano a sgonfiarsi».

Ecco poi un’ambulanza “tattica”, ovvero blindata e adatta alle operazioni più pericolose, nella quale due militari simulano il carico e lo scarico di una barella. Ci accorgiamo poi di un lettino coperto da una protezione di plastica: è destinato al biocontenimento, ovvero all’isolamento dei malati infettivi.

Oltre all’equipaggiamento moderno catturano la nostra attenzione i ferri chirurgici della Prima guerra mondiale e una sorta di cisterna anni Cinquanta nella quale erano sterilizzati ad alte temperature utensili e camici del personale medico.

Sempre all’interno dell’edificio si trova un pezzo di un vagone cucina degli anni Quaranta. «È ciò che rimane qui del “Centoporte”, un treno convertito in ospedale durante la guerra - racconta Attolico-. Per anni è rimasto fermo sui binari di via Napoli, poi è stato smembrato e trasferito nella sede della CRI di Marina di Massa. Una volta ricomposto su una delle sue carrozze è stato ambientato nel 1996 il celebre film “Il Paziente inglese”».

Prima di lasciare il centro scambiamo le ultime battute con i nostri accompagnatori. «Mi divido tra il Corpo e il mio impiego alla Regione – confessa Bosna –. Mi sono sempre sentito vocato per l’assistenza che ho messo sempre al primo posto. Ricordo che poco dopo la nascita di mio figlio, nel 2009, fui chiamato per l’emergenza del terremoto dell’Aquila. Non ci pensai due volte e partii immediatamente».

«A volte si tratta di scelte dure - conclude Attolico - ma la gratificazione che si prova nell’aiutare gli altri è la ricompensa più grande».

(Vedi galleria fotografica)

Nel video (di Gianni De Bartolo) la nostra visita al centro della Croce Rossa Militare:


 


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