di Mattia Petrosino - foto Valentina Rosati

Tra mozzarelle e burrate la storia dei caseifici baresi: «Arriviamo tutti da Andria e Gioia»
BARI – Mozzarelle, burrate, scamorze, giuncata, ricotta e stracciatella: non c’è tavola pugliese in cui i latticini non la facciano da padrone. Non tutti i centri della regione sono però specializzati nella creazione di formaggi freschi: Bari ad esempio non ha mai avuto una tradizione in tal senso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel capoluogo sono presenti infatti pochissimi caseifici che possono vantare una produzione propria. E tranne uno ("Biancolat" con sede nella Zona Industriale) tutti hanno a capo famiglie originarie di Andria e Gioia del Colle, città famose per la realizzazione di bianche prelibatezze.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Due di questi laboratori "murgiani" trovano posto a Carbonara (“Castellaneta” e “Latteria Lombardi”, che però non ha voluto rilasciare dichiarazioni) e uno in strada San Giorgio Martire (“Caseificio Andriese”). Siamo andati a visitarli per scoprire i segreti che si celano dietro la nascita di una perfetta mozzarella di tradizione gioiese e andriese. (Vedi foto galleria)

Il nostro viaggio parte dall’ex frazione di Carbonara, lì dove in via Ponte un’insegna a caratteri cubitali rossi annuncia il nome del primo caseificio: Castellaneta, attivo dal 1979.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una volta entrati veniamo attratti dal lungo bancone che sfoggia svariati tipi di formaggi e dietro cui sono appese scamorze dai tanti formati. Ad aprirci le porte è la famiglia Castellaneta, originaria di Gioia del Colle e composta dalla titolare 74enne Carmela, dai suoi tre figli Donato, Massimo e Antonella e dal nipote Mattia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Fu mio padre Alessandro a dare il via a questa attività – racconta il 53enne Donato –. A Gioia lavorava come casaro e una volta appreso il mestiere decise di proseguire da solo, portando questa tradizione a Bari, dove aprì il caseificio assieme a mia madre Carmela».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mentre parliamo, avvolti dal forte odore di latticini, ammiriamo l’impegno con cui Massimo e i suoi collaboratori lavorano nel laboratorio su un grosso banco di dispersione pieno d’acqua bollente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«La nostra mozzarella deriva dalla “scuola gioiese” – spiega il 50enne –, il cui segreto sta nell’impiego del “siero innesto”: una concentrazione di batteri lattici in forma liquida che permette di trasformare il latte in formaggio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Viene poi aggiunto il caglio, un composto caratterizzato da enzimi che producono la coagulazione delle caseine contenute nel latte. In questo modo la pasta diviene compatta ed è pronta per essere “rotta” con il cosiddetto spino, una sorta di frusta che serve a dare la consistenza voluta  all’amalgama.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Il risultato è la cagliata – afferma il casaro –, un prodotto semi molle che si posa sul fondo del tino, facendo venire in sospensione il siero. Tolto quest’ultimo, viene messa sul banco da lavoro, si aggiunge del sale e dell’acqua di circa 100 gradi e attraverso uno strumento chiamato stecca o gramma si procede con la filatura».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Solo allora si esegue la “mozzatura”, che permette di dare la forma prescelta: dal nodino al fiordilatte, dalla bomba al treccione. «Facciamo tutto con le nostre mani immerse nell’acqua bollente – afferma Mattia –, il lavoro artigianale, seppur faticoso, è fondamentale. L’unico macchinario che utilizziamo è la “formatrice”, uno strumento di altissima precisione che serve per creare le ciliegine».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


E tra rotonde scamorze affumicate e splendide burrate, salutiamo la famiglia gioiese e proseguiamo il nostro giro spostandoci all’inizio di strada San Giorgio Martire, lì dove è aperto il “Caseificio Andriese”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si tratta di un’attività nata nel capoluogo della Bat grazie a Leonardo Lombardi, che alla fine dell’800 iniziò a produrre mozzarelle in alcune masserie agricole del posto. Fu poi seguito dal figlio Sebastiano che nel 1947 decise di aprire un suo caseificio, tramandando questa passione anche al primogenito Agostino, colui che nel 1988 ha portato la tradizione a Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La bottega prima ubicata in corso Benedetto Croce, si trova dal 2000 nell’attuale sede gestita dal figlio del proprietario, il 44enne Sebastiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Varcato l’ingresso, notiamo un bancone grigio pieno zeppo di formaggi, ricotte e scamorze. Accanto vi è una piccola porticina che ci conduce nell’ampio laboratorio circondato da serbatoi di stoccaggio, salamoie, tinozze e banchi di dispersione. Ed è proprio qui, con le mani “ammollate”, che ci accoglie Sebastiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Al contrario della preparazione della mozzarella gioiese – spiega subito –, noi andriesi non utilizziamo il siero innesto, ma l’acido citrico».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In questa maniera si ricava un prodotto più tenero e lattiginoso rispetto a quello di Gioia, che invece è maggiormente asciutto e “calloso” e di più lunga durata.  

Osserviamo Sebastiano mentre è alle prese con la fase finale di preparazione dei latticini. Ottenuta la cagliata, addiziona così l’acqua bollente per il processo di filatura che attraverso il movimento della stecca rende la pasta più compatta. E così, dopo vari “annodamenti” eseguiti manualmente, ecco nascere un invitante treccione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra i pochi macchinari presenti nel laboratorio notiamo una centrifuga destinata alla scrematura e una salamoia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«È dentro quest’ultima che conserviamo le scamorze e i formaggi – ci illustra il 44enne –.  La loro preparazione è infatti diversa da quella della mozzarella perché si tratta di prodotti più stagionati. Per esempio per fare lo “stracchinato”, un formaggio dalla crosta sottile e morbida, occorre riscaldare il latte e aggiungere il caglio. In questo caso dopo la rottura non ci sarà la filatura, ma la cagliata si lascerà maturare in una tinozza per poi essere salata e inserita all’interno della salamoia per 15 giorni circa. Solo allora sarà pronto per essere venduto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo averci mostrato proprio il bianco stracchinato, non ancora maturato, il padrone di casa ci racconta con orgoglio la leggenda che da sempre caratterizza il suo paese d’origine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«La storia – riferisce – narra che una forte nevicata colpì Andria rendendo impossibile il trasporto dei latticini. Così un ingegnoso casaro di nome Lorenzo Bianchino creò a mano un sacchetto, fatto con la stessa sostanza della mozzarella, in modo da racchiudere al suo interno la pasta sfilacciata e la panna. Ed è proprio in quel momento che nacque la burrata, la nostra specialità per eccellenza».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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