di Luca Carofiglio

Da Mattia ad Andrea: quando il nome "bisex" crea equivoci e imbarazzo
BARI – «Una volta da piccola all'aeroporto gli addetti del check-in mi fermarono: pensavano che la mia carta d'identità fosse falsa. Mi chiesero se fossi stata rapita e avvisarono la polizia per fare dei controlli». Questo è uno dei tanti spiacevoli episodi capitati alla 19enne barese Mattia Petrosino, che dalla nascita convive con un fastidioso problema: avere un nome di solito utilizzato per i maschi.

Il suo però non è un caso isolato, visto che in Italia viene data molta libertà ai genitori nel momento in cui devono scegliere come chiamare il proprio figlio.  Ci sarebbe in realtà un regolamento, il Dpr 396/2000, che all’articolo 35 dispone quanto segue: "il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso". Ma va sottolineato come non esista una lista ufficiale di nomi maschili e femminili a cui l’ufficio dell’Anagrafe possa far riferimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In più nel 2007 il ministero dell'Interno ha emanato la circolare n.27 che di fatto smentisce il decreto suddetto, disponendo che “nel caso in cui i genitori richiedano la registrazione del figlio con un nome che, nella tradizione italiana, non corrisponde al sesso del minore, l’ufficiale dello stato civile dovrà comunque procedere alla registrazione". Il dipendente dell'Anagrafe potrà solo avvertire i genitori del fatto che "l'anomalia" sarà esaminata dalla Procura della Repubblica, nella quale sede "è possibile che si instauri un giudizio di rettificazione che potrebbe portare, anche con tempi lunghi, alla modifica del nome prescelto".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma, un bel pasticcio che non risolve la condizione di chi vive "nell'ambiguità", soprattutto se nato prima del 2000. «Il mio nome l’ho ereditato da quello di mia nonna – ci spiega sempre Mattia -, ma avrei voluto tanto chiamarmi in un altro modo. Gli equivoci sono all’ordine del giorno: persino agli esami di maturità fui inserita nell'elenco degli studenti di sesso maschile. Che vergogna».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Problemi simili a quelli dell’omonima Mattia Santoro, 20enne di Foggia. «Dalle nostre parti sono tante le ragazze che si chiamano così - dichiara la giovane -, ma a me continua a infastidire l’essere scambiata per un maschio: in un evento sportivo fui addirittura inserita nella gara degli uomini, cosa che mi fece arrabbiare tantissimo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Curioso è anche il caso di "Andrea", altro nome “bisex”. «Io mi chiamo così - ci confida la 26enne Andrea Cangiani, di Bitritto - ma in chiesa fui battezzata con un nome diverso: il prete infatti si rifiutò di consacrarmi con il mio appellativo “ambivalente”.

«Anch’io ho avuto noie – evidenzia le 23enne barese Andrea Ronga -. I miei genitori volevano optare per un semplice "Andrea", ma il Comune impose l'aggiunta di un seconda parola tipicamente "rosa": Roberta».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In realtà nel 2012 la Cassazione ha riconosciuto valido questo Andrea anche al femminile, visto la "natura sessualmente neutra del termine" in vigore nella maggior parte dei paesi europei ed extraeuropei.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma a volte ci si ritrova un nome “sessualmente opposto” senza che siano delle ragioni storiche, culturali o di discendenza. E’ il caso di Anna, un 56enne di Trinitapoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Si tratta di mio zio - ci racconta la 22enne nipote Emilia -. Sua madre sognava di avere una bambina, ma dopo quattro figli maschi nacque lui. Ma la donna non si diede per vinta e decise comunque di affibbiargli un appellativo femminile. Il mio parente ha sempre nascosto questo “particolare” e si è fatto definire sempre "Nino", ma al suo matrimonio si è dovuto arrendere quando il sacerdote fu costretto a pronunciare il suo vero nome. Immaginate l’imbarazzo della moglie sull’altare quando seppe che suo marito si chiamava Anna».


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