di Leonardo Ostuni

Bari: la storia di Luciano Aprile, il calciatore che si laureò in Filosofia
ACQUAVIVA DELLE FONTI -  Un calciatore filosofo. E’ l’etichetta che si porta dietro da più di quarant’anni l’acquavivese Luciano Aprile (nella foto), discreta mezzapunta (calcò anche i campi della serie B con il Matera) che durante la sua carriera è riuscito a laurearsi in filosofia diventando in seguito professore di liceo. In un mondo come quello del pallone nel quale i giocatori sono associati più al “vil denaro” che alla cultura, la storia dell’oggi 63enne Luciano merita di essere raccontata. L’abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo libro autobiografico  “Dove non arrivavano i treni arrivò la serie B”.  

Siamo nel 1974, lei è un 19enne che milita in serie C nel Matera e a un certo punto decide di iscriversi all’Università. Da dove nacque questa scelta?

Tutto ebbe inizio durante l’ultimo anno di scuola, quando per prepararmi agli esami di Stato cominciai a studiare autori come Nietzsche. Da quel momento la filosofia divenne una passione e decisi così di iscrivermi alla facoltà dell’Università di Bari, lì dove mi laureai nel marzo del 1982. 

In tutti gli anni di studio lei continuò a giocare a pallone, raggiungendo anche il traguardo della serie B. Non deve essere stato facile coniugare entrambe le cose…

In effetti tra ritiri e partite non fu per nulla agevole riuscire a trovare la concentrazione e il tempo per preparare gli esami. Tra l’altro una volta arrivato in serie C non riuscii neanche più a frequentare le lezioni, visto che mi allenavo ogni mattina. Diciamo che approfittavo dell’estate per studiare, quando non c’era il campionato, anche se in alcuni casi ho dovuto impormi con la società.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci racconti qualche episodio…

Durante l’annata di serie C 1976-1977 giocavo nel Matera e avevamo la partita contro il Trapani, in trasferta. Sia per protesta nei confronti dei lunghi viaggi in pullman preferiti a più comodi e rapidi spostamenti in aereo, sia perché volevo essere uno studente in regola, quel giorno decisi però di andare a sostenere l’esame di Filosofia del Linguaggio a Bari e di saltare dunque la partita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma tra il calcio e la filosofia in quell’occasione diede priorità alla seconda. Ma i suoi colleghi come giudicavano questa sua “doppia anima”?

Insomma, l’ambiente non era propriamente ben disposto verso questo genere di interessi. Gli unici giornali che circolavano tra i miei compagni erano la “Gazzetta dello Sport” e il “Corriere dello Sport” e non si parlava mai di politica. Mi chiamavano “il filosofo” e in questa definizione c’era un qualcosa di spregiativo: mi consideravano strano, uno con la testa fra le nuvole. Ho sofferto un po’ per tutto questo, era come se mi dovessi sdoppiare: non ero perfettamente a mio agio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

D’altronde non ce n’erano mica tanti di atleti che studiavano…

No, anche se nel 1976 uscì un libro intitolato “Calci e sputi e colpi di testa: riflessioni autobiografiche di un calciatore per caso” scritto dall’allora giocatore Paolo Sollier. Lui non era laureato, però leggeva e partecipava alla vita politica di quegli anni. Per me era confortante sapere che esisteva una sorta di “cuginetto” ideale, che tra l’altro militava in serie A, nel Perugia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


A un certo punto però il calcio l’ha lasciato, smettendo quando aveva solo 28 anni.

Influì anche il fallimento del Livorno nel 1982, squadra alla quale ero stato ceduto: persi insomma un po’ gli stimoli. In più proprio quell’anno mi laureai e partecipai al concorso per l’insegnamento, che vinsi. Nel 1984 decisi così di terminare la carriera di calciatore per intraprendere quella di professore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lei insegna ancora (oggi è al liceo scientifico di Cassano delle Murge). Capita mai con i suoi alunni di far riferimento alla sua precedente esperienza sportiva?

Si, soprattutto quando faccio l’analogia tra allenamento e preparazione scolastica. Cerco di far capire ai ragazzi che anche i calciatori per far bene devono lavorare quotidianamente, dando continuità al proprio impegno. E così dovrebbero fare anche loro: studiare tutti i giorni per ottenere buoni voti. L’abitudine, la fatica, l’autocontrollo, in un campo come nell’altro sono indispensabili per ottenere un risultato. Però a nessuno di loro ho mai consigliato di giocare a pallone, quella è una cosa che deve accadere. Ciò che cerco invece di trasmettere è la passione per i libri, per i film, per la musica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma calcio e cultura sono due mondi veramente inconciliabili?

Niente affatto, d’altronde sono tanti gli scrittori (soprattutto latino-americani ed europei) che hanno scritto di pallone. Pensate poi a Pasolini: un intellettuale a cui piaceva sporcarsi, entrando in campo per giocare con i bambini. Il calcio dice molto dal punto di vista antropologico e filosofico. Al suo interno ci sono innumerevoli ingredienti: le geometrie, gli atti creativi, l’istinto, la preparazione, la fortuna, la giustizia, tutte metafore della vita stessa. Ancora oggi nonostante le critiche che posso fare al divismo, ai soldi che girano, vedere la palla che rotola è un incanto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Forse lo sport dovrebbe essere raccontato diversamente…

Sì il punto è quello: i media non si sforzano di parlare del calcio in un altro modo. Non so se se i giocatori siano ignoranti: di fatto non li conosciamo, visto che in televisione le domande che vengono poste loro sono sempre le stesse. Da parte dei commentatori non c’è nessuna voglia di scoprire cosa c’è dietro l’atleta: le sue passioni, la sua vita.  Come non c’è nessuna volontà di parlare dello sport come fenomeno sociale, di un qualcosa che può cambiare la storia di una città ad esempio. I giornalisti dovrebbero educare il pubblico e invece mantengono i tifosi su quella poltrona dove si vede il gol, si maledice la rete mancata e ci si infuria per l’arbitraggio sbagliato. Ma il calcio non è solo questo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Immagine concessaci da www.dabitonto.com/


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  • Dora - Complimenti Leonardo interessante e istruttiva intervista
  • Unknown - Sarebbe stato meglio se avesse continuato la sua carriera calcistica . Non tutti sono in grado di insegnare e fare i professori ed è meglio capirlo prima di rovinare e sminuire ulteriormente i ragazzi.


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