di Annarita Correra

Bari, l'Arco della Neve: dove i fiocchi si trasformavano in ghiaccio da vendere
BARI – C’era un tempo in cui a Bari si vendeva la neve. Certo, non nella forma in cui la conosciamo, bianca e soffice, ma dopo essere passata allo stato solido di ghiaccio. Il ghiaccio serviva infatti per curare infezioni, ascessi, contusioni, infiammazioni e febbre e nei mesi estivi era fondamentale per conservare gli alimenti e perché no, per preparare gelati, sorbetti e granite.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ghiaccio che si produceva grazie alla solidificazione della neve e veniva conservato in “sottani”, locali al di sotto del manto stradale dove era sistemato in grandi sacchi di paglia e saggina in modo da evitare di farlo sciogliere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A Bari si trovavano tre rivendite, attive soprattutto nel 700 e fino ai primi decenni dell’800: la prima in vico Gironda, la seconda in piazza San Nicola e la terza sotto un passaggio nei pressi della Cattedrale, che ancora oggi prende il nome di “Arco della Neve”. (Vedi foto galleria)

L’arco in antichità faceva parte di un’antica torre medievale, la “turris S. Nicolai” contesa negli anni da diverse famiglie della città ed era chiamato “Arco di San Nicola”. «Questo passaggio ha avuto molti nomi in realtà – chiarisce Michele Fanelli, esperto di tradizioni popolari di Bari Vecchia -. Nel 600 ad esempio era conosciuto come arco di Zarazumbolo, il soprannome di un abitante della zona».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Arrivando in piazza Odegitria troviamo il passaggio sulla sinistra della Cattedrale, incastonato tra un palazzo giallo e uno color rosa salmone. Non è possibile sbagliarsi perché all’interno, sulla parete di sinistra, è posta una targa in pietra con su scritto a caratteri cubitali: “Strada Arco della Neve”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Sotto l’arco si trova anche una porticina in metallo, ingresso di un’abitazione privata: probabilmente quella che un tempo rappresentava l’entrata del locale sotterraneo dove gli “insaccaneve” producevano il prezioso ghiaccio. Proviamo a bussare ma non ci risponde nessuno. Peccato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma come si faceva a “sfornare” cubetti quando a Bari non nevicava? «In quei casi il ghiaccio lo si andava a prendere con dei carri nei paesi limitrofi dove erano attive vere e proprie “neviere”», chiarisce Fanelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le neviere erano delle specie di “celle frigorifero” in pietra, dove la neve veniva accatastata in una cavità sotterranea che poteva raggiungere anche i 10 metri di profondità, ricoperta da fasci di legna per non far sciogliere i fiocchi. A Castellana Grotte, in contrada Genna, ci sono ancora oggi i resti di un’antica neviera che alla fine del 700 trasformò il paese in provincia di Bari in un vero e proprio esportatore di ghiaccio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tempi in cui non c’erano frigoriferi e freezer e in cui la neve non poteva essere sprecata per farne pupazzi e palle da lanciare, rappresentando invece un bene prezioso da non disperdere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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  • VINCENZO Branca - Interessante. Complimenti, Brava. Tutto tua madre.


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