di Eva Signorile

Rischio idrogeologico a Molfetta: «Non costruite dentro quella lama»
MOLFETTA - Dei presunti problemi di Molfetta, ci siamo già occupati: la zona industriale del comune a nord di Bari sarebbe infatti costruita su un'area che l'Autorità di Bacino di Puglia ritiene ad elevato rischio idrogeologico. Ora però ci soffermiamo sulle soluzioni proposte per mitigare questo rischio e ne parliamo con alcuni esponenti del circolo molfettese di Legambiente. Per Massimiliano Piscitelli, ingegnere ambientale, Feliciana De Trizio, biologa e per Elisabetta de Dato, anche lei ingegnere ambientale, l’espediente della costruzione di un canale deviatore sarebbe dannoso dal punto di vista dell'impatto ambientale e per di più potrebbe non essere sufficiente a ridurre realmente il pericolo. Vediamo perché.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Sappiamo che la zona industriale di Molfetta è inserita in un reticolo idrografico ad alto rischio idrogeologico.
 
Sì, la zona ASI, cioè l'Area di Sviluppo Industriale è costruita in una zona densa di lame, cioè di solchi naturali scavati nel terreno in epoche geologiche antiche e che oggi svolgono la funzione di raccogliere e far defluire le acque piovane fino al mare. Le lame, in caso di precipitazioni abbondanti, possono trasformarsi in veri e propri fiumi, per questo è necessario che esse siano libere da ingombri. Invece a Molfetta non si è tenuto conto di questa risorsa e salvezza. E ora si rischia di fare anche peggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
In che modo?
 
Oltre alla zona ASI, a Molfetta c’è la zona artigiananale PIP, che ha già visto un primo ampliamento con la zona PIP2. Le precedenti amministrazioni comunali hanno però previsto la costruzione di una terza area, la PIP3: un intero insediamento che verrebbe costruito proprio in una lama.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma si è cercato di correre ai ripari, progettando la costruzione di canali deviatori, quelli che comunemente definiamo "canaloni".
 
Ci sono stati due progetti in merito. Il primo era stato proposto dal Consorzio ASI, che prevedeva anche l'uso di "vasche di laminazione", destinate a contenere l'acqua in eccesso. Successivamente, l'amministrazione guidata dal sindaco Antonio Azzollini, ha chiesto di modificare questo progetto, integrandolo con un altro canale deviatore, che andrebbe a servire l'area PIP3. Il progetto prevede anche l'uso della dolina di Gurgo come vasca di laminazione, ma si tratta di una dolina attigua a quella più famosa del Pulo di Molfetta: un'area archeologica di notevole interesse, anche naturalistico. In caso di precipitazioni abbondanti, questa scelta potrebbe avere conseguenze gravi sul paesaggio che caratterizza il Pulo, che rappresenta un eccezionale laboratorio di biodiversità, oltre ad essere un sito di notevole interesse storico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
I problemi ricadrebbero quindi solo sul Pulo?
 
No. Si tratterebbe di un ulteriore ecomostro dall'impatto irreversibile: 5mila alberi divelti, 359mila mcubi di roccia e terra da scavare, per quasi 164mila metri quadrati di area. Già la zona ASI, quando è stata costruita, aveva fatto numerosi danni paesaggistici e ambientali, tra terreni agricoli espropriati e testimonianze del passato cancellate o nascoste dalle nuove costruzioni. Inoltre, l'acqua raccolta dai canali deviatori, andrebbe a sfociare in mare, presso Cala San Giacomo, sul litorale a nord ovest di Molfetta, dove c'è l'oasi naurale di Torre Calderina ,che rappresenta l'ultimo pezzo di ecosistema agrario costiero, a nord di Bari, prima delle Saline di Margherita di Savoia. Da ultimo, non va trascurato il fatto che, una volta costruite, queste opere richiederanno una continua manutenzione, i cui costi saranno a carico della comunità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


D’accordo, ma il rischio idrogeologico però sussiste. Cosa proponete per risolverlo?
 
Chiediamo all'attuale amministrazione comunale, guidata dal sindaco Paola Natalicchio, di bloccare la realizzazione della zona PIP3 e di intervenire sul rischio idrogeologico esistente: se la Pip 3 non si costruisce non c'è alcun motivo di realizzare un canale deviatore per mitigarne il rischio idrogeologico.  Va impedito ogni intervento edilizio nelle aree che il Piano di Assetto Idrogeologico dell'Autorità di Bacino individua come inondabili. Va riaffermata la tutela del sistema delle lame e della loro integrazione con le doline, ripristinado, dove possibile, il percorso naturale dei compluvi, senza la realizzazione di canali artificiali e vorremmo che di tutto ciò la cittadinanza potesse discuterne in maniera consapevole e trasparente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Abbandonare il progetto dell'espansione PIP 3 non implicherebbe un danno economico per il Comune?

Riteniamo che le zone già costruite siano più che sufficienti a soddisfare le necessità produttive: ci sono ancora interi capannoni vuoti e la crisi economica ha peggiorato ulteriormente la situazione. Ci sono imprese che hanno chiuso, rendendo nuovamente disponibili i posti occupati in precedenza. Non c’è bisogno di creare un altro insediamento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Invece ripristinare il corso delle lame, per “intervenire sul rischio idrogeologico esistente” non porterebbe ad abbattere costruzioni già esistenti?
 
Non abbiamo notizie effettive di fabbricati costruiti dentro alle lame, ma sappiamo di strade che intercettano lame. Su queste si può intervenire: ad esempio sopraelevando quelle che le intersecano, costruendo dei ponti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Riprogettare strade, costruire ponti...si tratta di progetti che hanno dei costi: non si rischia di gravare sulle casse del Comune?

Certo, i costi vanno valutati, ma siamo sicuri che sarebbero inferiori a quelli attualmente richiesti per la progettazione del canalone. Per quest'opera infatti la Regione ha stanziato circa 14milioni di euro di fondi CIPE. A questi, si aggiungono il quasi milione e mezzo del Comune di Molfetta e gli oltre 300mila euro del Consorzio ASI. Il problema è che la stima della cifra prevista per la realizzazione del progetto è di quasi il doppio e ammonta a oltre 28 milioni di euro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma se l'area è a rischio idrogeologico, non vale la pena spendere questo denaro?
 
In realtà, a parte i costi, non siamo affatto sicuri che questo progetto sia davvero efficace in termini di mitigazione del rischio, perché la documentazione presentata dall'ASI appare lacunosa e non corredata di valutazioni idrogeologiche e idrauliche, come ha evidenziato la stessa Autorità di bacino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella foto Molfetta dall’alto: in giallo il progetto di espansione dell'area PIP3, che verrebbe costruita all'interno di una lama e in rosso il progetto del canale deviatore.


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