di Mina Barcone

A Bari c'è uno spicchio d'Africa: i 5mila reperti del Museo Etnografico
BARI -  Maschere, lance, frecce, sculture in ebano, oggetti da stregoni, bracciali in osso. Sono solo alcuni esempi di ciò che è possibile ammirare nel Museo etnografico africano di Bari, ubicato sin dagli anni 70 all’interno del convento dei cappuccini di Santa Fara, nel quartiere Picone. Si tratta di cinquemila reperti provenienti dall’Africa orientale (in particolar modo dal Mozambico ma anche da Zambia, Zaire, Etiopia, Tanzania e Ghana), raccolti dai frati missionari pugliesi nei loro vari viaggi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Nel 1950 – racconta padre Pier Giorgio, il frate che ci ha accompagnato a visitare il museo – un gruppo di missionari pugliesi partì alla volta delle colonie portoghesi in Africa per evangelizzarle. Dopo qualche anno quei sacerdoti portarono a Bari una serie di oggetti utili per documentare i costumi, le tradizioni culturali e religiose di quei popoli lontani».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A partire dagli anni 70 i frati decisero quindi di mettere su un museo per far conoscere la cultura africana ai baresi, anche se con il tempo, per via dell’aumentare degli oggetti esposti, questo spazio composto da cinque stanze è diventato sempre più piccolo e poco idoneo. Da qui la decisione di trasferire i reperti già dal prossimo ottobre in una nuova struttura situata nei pressi del convento di Giovinazzo in via ss. Crocifisso 54. «Nella nuova sede – spiega il sacerdote - saranno allestite anche aule didattiche per capire meglio il percorso museale che finora è stato comunque poco conosciuto. Ci sarà anche la possibilità di essere inseriti dalla Regione Puglia nel circuito museale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Prima che venga ricollocato, in un giorno di agosto siamo entrati in questo spicchio di Africa presente nel capoluogo pugliese. (Vedi foto galleria)

Nella prima stanza sono conservati più che altro centinaia di francobolli portoghesi e del Mozambico risalenti agli anni 70. Mentre nel secondo ambiente sono esposti oggetti realizzati in avorio e in ebano che rappresentano scene della Natività, santi e angeli. Appesi alla parete si trovano poi diversi tessuti dipinti con la tecnica del "batik" (colorazione che si ottiene coprendo con la cera le zone che non si vogliono dipingere).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
La terza stanza è dedicata alle monete e banconote che sono posti su due grandi tavoli a vetro centrali. Le teche collocate sulle pareti conservano invece strumenti utilizzati dai missionari durante le celebrazioni eucaristiche in Mozambico, come i rosari in filigrana, oltre a collane e bracciali in osso, vero segno distintivo dei popoli africani. «Le donne lì non indossano mai un solo bracciale - ci spiega frate Pier Giorgio -. Infatti c'è un detto che dice “un bracciale solo non fa rumore e non dà vita”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

 
Ci dirigiamo verso il quarto ambiente, dove sono esposte le foto in bianco e nero scattate durante le prime missioni dai frati in Africa orientale, intorno agli anni 50 e 60.  Sono immortalate scene come la lavorazione del riso, un esame di catechismo, la medicazione delle piaghe e la lavorazione del cocco. E' inoltre allestita una piccola biblioteca che conserva numerosi libri scritti in varie lingue africane.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Ma è l'ultima stanza, la più grande, la vera chicca del museo. Qui si trovano diverse armi come frecce, archi, maceti, lance. Nelle vetrinette sulla sinistra ci sono una decina di maschere in legno, indossate durante l'esecuzione della danza "mapiko", un rituale di iniziazione maschile tipico dei Makonde una popolazione che vive al confine tra il Mozambico e la Tanzania.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Nella vetrina accanto sono esposti oggetti tipicamente femminili, come i pettini a denti stretti utilizzati dalle mamme per acconciare i capelli delle bambine, oltre a collane, braccialetti, orecchini tutti rigorosamente molto colorati. Sono presenti anche diversi giocattoli realizzati dagli stessi piccoli con ferro filato e plastica. Nelle vetrine sulla destra troviamo invece gli strumenti utilizzati dagli stregoni “macanga” (un culto animista diffuso in Africa): ciotole contenenti zampe di uccelli, piume e penne, pietre e statuette di demoni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Al centro si trova la fedele riproduzione di una capanna mozambicana realizzata con legno e rametti e in un angolo una quindicina di tamburi di diverse grandezze e altri strumenti musicali. Poi vignette del 1600, incisioni in legno che raffigurano scene della vita quotidiana delle tribù africane, statuette in ebano che rappresentano mostri e folletti, pentole e piatti in terracotta. Sulle pareti invece sono appese le “capulane”: tessuti colorati che le donne del Mozambico utilizzano non solo come vestiti, ma anche come marsupi per portare il proprio bambino sulle spalle. E ancora animali imbalsamati e un grande teschio di ippopotamo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'ultima parte del percorso espositivo mostra conchiglie, pietre, minerali e piante essiccate, più di una trentina di specie messe insieme da padre Rosario Amico, ex ordinario di Botanica presso l’Università di Bari. 

Il museo è visitabile gratuitamente, prenotandosi al numero 0805610037.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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