di Luca Carofiglio - foto Antonio Caradonna

Masserie, torri, chiese millenarie: viaggio tra i dimenticati tesori di Lama San Giorgio
TRIGGIANO - Costruzioni millenarie, torri di avvistamento e antiche masserie abbandonate. Sono alcuni dei tesori nascosti lungo Lama San Giorgio, uno dei nove ex fiumi di Bari. Anni fa la visitammo per ammirarne le bellezze naturali, oggi invece siamo tornati per riscoprirne la ricca storia, purtroppo poco conosciuta: basti pensare che custodisce persino una chiesa dove furono conservate per una notte le ossa di San Nicola, patrono della città.

Il lungo solco parte da Monte Sannace, sede di un suggestivo parco archeologico, nell'agro di Gioia del Colle e giunge fino a Cala Pantano, la baia in cui nel 1087 furono sbarcate proprio le reliquie del santo di Myra. Noi ci siamo addentrati nel tratto al confine tra Triggiano e il capoluogo pugliese. (Vedi foto galleria)

Il nostro punto di partenza è via Lame: la prosecuzione di via Dante, strada che si dirama dalla villa comunale del paese. Percorriamo l'arteria che penetra nelle campagne e dopo un chilometro, sulla sinistra, avvistiamo una via sterrata che scende sul letto del corso d'acqua scomparso. Ad attenderci, immerso tra gli ulivi, c'è un edificio in pietra apparentemente anonimo: in realtà è un pagliaio che risale addirittura al VII-VIII secolo, usato come riparo e deposito dai contadini di un tempo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo su via Lame e proseguiamo fino all'incrocio con via Schiattona, approdando così in contrada Pozzo San Benedetto. Proprio lì vicino adocchiamo una grotta con due aperture, coperta da una rigogliosa pianta di fichi: è una delle tante cavità della zona, alcune delle quali, secondo dicerie popolari, condurrebbero sino alla costa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Leggende a parte, è probabile che fossero abitate in era preistorica. Lo sosteneva lo storico locale Vincenzo Roppo in un libro del 1924 ed è dello stesso avviso lo studioso contemporaneo Francesco Ressa. «Non sono stati fatti degli esami a riguardo - afferma l'esperto dell'Archeoclub - ma è un'ipotesi plausibile: è accertato per esempio che nel Neolitico il tratto della lama che attraversa la vicina Rutigliano fosse già popolato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Continuiamo l'esplorazione dal bivio in cui eravamo arrivati, girando a sinistra in strada vicinale Pozzo Fiscardi e svoltando a destra dopo due chilometri in strada Penna la Tortora. Siamo praticamente al confine con Noicattaro. Sulla destra scorgiamo un dirupo che cela l'alveo: scendiamo quindi nuovamente nel solco, ritrovandoci in un affascinante "mare" di verde.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Risaliamo poi  alle pendici del lato opposto, lì dove si staglia masseria Citarella, stabile del XIX secolo in evidente stato di abbandono.  «Si pensa ospitasse un insediamento di monaci e successivamente un seminario», ci dice il nojano Vito Detoma, appassionato di storia locale

Quel che rimane del suo tetto, contraddistinto da una graziosa finestrella, è stato quasi "mangiato" dalla vegetazione, mentre il retro sembra essere crollato completamente. L’interno, in origine adibito probabilmente a stalla, è illuminato da una piccola fessura posta sotto un soffitto a volta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Facciamo qualche passo indietro fino a reimmetterci in strada vicinale Pozzo Fiscardi, arteria che cambia subito denominazione in strada vicinale Lagomele e la mantiene fino all'incrocio con strada vicinale Torre delle Monache, che si dirama sulla sinistra. Quest'ultima prende il nome dall'omonimo immobile in rovina presente nei dintorni. Nel 700, secondo lo storico Padre Daniele, funse da torre di avvistamento e nel secolo successivo venne invece abitato da alcune monache.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La costruzione si sviluppa su due livelli, il primo innalzato con roccia viva e il secondo, in epoca più recente, usando il tufo. Il piano inferiore è costituito da due stanze col soffitto a volta, separate da un muro: una di esse ha le sembianze di quella che poteva essere una cappella. Saliamo al piano superiore, dove grossi conci di pietra giacciono laddove un tempo arrivava una scala. L'interno, sormontato da una volta a crociera, è caratterizzato da sei archetti: racchiudono le finestre, eccetto uno, che invece dava vita a un'edicola votiva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A questo punto c'è bisogno di spostarsi per un altro paio di chilometri, quasi fino alle spalle del centro commerciale Bariblu. Strada vicinale Torre delle Monache si immette in strada vicinale Sagnisi (lungo la quale si erge il cipresso alto sette metri noto come ù p’nnacchj-“il pennacchio”), che poi muta nome in strada vicinale Pezza Manca e incrocia strada vicinale Vrazzullo. Giriamo a destra, godendo di una vista invidiabile: da qui il letto si mostra in tutto il suo splendore, "offrendo" campi coltivati, muretti a secco e piante di fichi, nonostante la presenza di rifiuti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Strada Vrazzullo finisce con un bivio: svoltiamo così a destra in strada Monte, quella che porta ai piedi di monte Telegrafo, il punto più elevato di Triggiano, a circa 100 metri di altitudine. Accanto a una torretta rossa detta du p’dùcchie (“del pidocchio”) parte il sentiero che porta in cima al rilievo, con vista mare. «Un tratto della viuzza fa parte di un antico decumano romano - spiega Enzo Digioia, studioso di storia locale -. È una zona che frequentavo da bambino: ricordo che i contadini raccontavano di re e personaggi importanti sepolti nei paraggi sotto un cumulo di pietre».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Roppo sosteneva che qui un tempo si stagliava la principale torre di vedetta del paese, sfruttata per comunicare l'arrivo di eventuali pirati con l'accensione di un falò. Nel 900 poi tale luogo sarebbe diventato la sede di un trasmettitore del telegrafo, dal quale il monte avrebbe ereditato l'attuale appellativo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo all'incrocio precedente e imbocchiamo a sinistra strada vicinale San Marco. L'arteria sbuca sulla statale 16, ma poco prima presenta una biforcazione a sinistra: è una via senza uscita, al termine della quale raggiungiamo la nostra tappa finale: la chiesa di San Sossio, detta anche di Santa Sofia o di Vassallo, dal nome dell'antico proprietario vissuto nel 700.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Al suo interno - evidenzia Ressa - nella notte tra l'8 e il 9 maggio 1807 furono conservate le ossa di San Nicola appena giunte sulla costa di San Giorgio». Un sito quindi importantissimo dal punto di vista storico, ma di cui sono rimaste solo due pareti tenute in piedi grazie a delle assi di rinforzo: il simbolo di una lama leggendaria e dimenticata.  

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