di Marianna Colasanto

Il mondo delle macchine fotografiche analogiche: «Rare, costose e per intenditori»
BARI – Leica, Kodak, Minolta, Polaroid, Voigtlander. Sono solo alcune delle marche simbolo di un'era che non c'è più: quella delle macchine fotografiche analogiche. Da almeno un decennio l'avvento della tecnologia digitale ha infatti mandato in pensione le vecchie e tipiche fotocamere del scorso secolo e con esse tutto quel mondo complesso di tecniche e "trucchi" adottati per lo sviluppo delle foto. Al loro posto sono subentrati apparecchi moderni, spesso incorporati negli smartphone, che non hanno bisogno né di rullini, né di camere oscure, né di stampa.  

A Bari però c'è una piccola "oasi" dove questi marchingegni ormai superati vengono recuperati e curati: è la collezione del 58enne Enrico Caruso, grande appassionato di fotografia che possiede una quarantina di pezzi risalenti a un arco temporale che va dal 1936 al 1972. Ci siamo affidati a lui per fare un salto all'indietro nel passato, quando la meccanica doveva ancora cedere il passo all'informatica e parole come "photoshop" erano assolutamente sconosciute. (Vedi foto galleria)

«Ho cominciato la raccolta 16 anni fa - racconta l'esperto - acquistando un congegno d'annata russo per 50mila lire dal "mercatino dei polacchi", una volta allestito nel quartiere Japigia. Quelli che ho sono tutti dispositivi perfettamente funzionanti: per "tenerli in allenamento" ogni due mesi li utilizzo facendo un paio di scatti con i tempi di esposizione più critici, cioè i più lunghi e i più brevi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma dove si scovano questi piccoli gioielli? «Di solito è necessario visitare qualche mercatino dedicato al settore - spiega il collezionista - e a Bari purtroppo non ce ne sono. Per fortuna oggi è possibile acquistarli su internet, navigando in grandi portali di vendita e aste come eBay o in siti specifici per la materia. Ci sono anche pagine online che forniscono informazioni utili per chi vuole conoscere il valore di questi antichi strumenti da intenditori».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Già, perchè questi oggetti d'epoca possono avere anche un discreto prezzo. «Per esempio la mia Rolleyflex bi-ottica del 1936 vale 800 euro - prosegue Enrico - e conservo anche una cinepresa Paillard con obiettivo 16 millimetri di ben tremila euro. In generale la quotazione dipende da vari fattori come l'aver conservato l'efficienza di un tempo, la resistenza, l'affidabilità delle molle e dell'obiettivo, la capacità di messa fuoco e il numero di matricola, cioè la cifra che indica l'anno, il luogo e la serie della macchina».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La qualità delle fotocamere insomma fa molto, specialmente perchè progettate in un periodo in cui gli obiettivi non erano ancora interscambiabili e figuravano come un tutt’uno con il resto dell'apparecchiatura. «Quelle prodotte dall'azienda tedesca Zeiss - sottolinea il cultore - erano tutto le più performanti, con nel caso della mia Ikon Nettar del 1949».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Conta ovviamente anche la reperibilità dei preziosi aggeggi. «Più sono rari, più sono pregiati - evidenzia infatti Enrico -. Nel mio caso sono molto legato alla Minox della Minolta e alla Mamya 16 Super, quest'ultima lunga appena 6,5 centimetri: si tratta di modelli così piccoli da poter essere contenuti in un taschino. Non è un caso che venissero utilizzati nei film di spionaggio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per usare con maestria le vecchie macchine bisognava mettere in atto accorgimenti che non tutti erano in grado di adoperare. Per esempio era necessaria una certa conoscenza nella scelta delle pellicole. «Per le foto in bianco e nero le più indicate erano le Ilford da 200 Asa (l'unità di misura della sensibilità alla luce) - continua l'appassionato -, per quelle a colori le giapponesi della Fujica. Quelle della Kodak, che esaltavano in particolare i rossi, erano opportune se si volevano ottenere immagini "magentate"».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Poi c'era tutto il delicato lavoro effettuato nella camera oscura, la famosa stanza a illuminazione ridotta in cui avveniva lo sviluppo delle foto su carta. «Uno dei "trucchetti" usati all'interno di quegli ambienti - ricorda ancora il barese - era applicare una calza di nylon in modo da farla aderire all'ingranditore e conferire così alla foto un effetto sfumato». Usando sagomine di carta sull'ingranditore era inoltre possibile praticare i fotomontaggi. Si poteva "allungare" in modo anormale il soggetto ritratto semplicemente curvando al centro la carta sotto la luce del proiettore stesso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Oggi grazie al progresso digitale questi espedienti non sono più necessari - conclude Enrico -. Ciò ovviamente fa sì che vi siano una moltitudine di macchine fotografiche in circolazione a fronte di pochissimi veri fotografi. In pochi insomma si rendono conto di impiegare quotidianamente quello che è un miracolo della tecnologia che ha fatto la storia del secolo scorso. Oggi basta un “click” ed il gioco è fatto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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  • Durante Ercole - Articolo interessante. Sono appassionato di fotografie da decenni e posseggo varie macchine analogiche e digitali. Può cortesemente darmi un contatto (email o altro) di Enrico Caruso? Grazie
  • tiziana Miani - possiedo una foto0camera analogica Kodak con custodia in pelle e vari altri pezzi anche minolta degli anni '60 . Potrei avere mail o altro recapito del Sig. Enrico Caruso . Grazie
  • Paoll - Ho una Contax con valigeria ed accessori può interessare


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