di Stefania Buono

Sport ''minori'', un triste destino: «Senza soldi gli atleti abbandonano»
BARI Lo sport non è solo il calcio (o il basket, la pallavolo, il tennis e la formula uno), ma è un mondo fatto di tante attività “minori”, purtroppo meno seguite, ma che hanno una grande storia e fanno parte da sempre dei Giochi Olimpici: dal sollevamento pesi alla lotta greco romana, dal pattinaggio su ghiaccio al tiro con l’arco, passando per il pugilato e il rugby.

Sport che quando riescono a vincere una medaglia olimpica riescono però a uscire dall’ombra: dopo le vittorie di Juri Chechi nella ginnastica artistica o di Valentina Vezzali nella scherma o del “Settebello” nella pallanuoto, si è avvertito sempre un nuovo entusiasmo attorno a queste attività sportive, che hanno portato tanti giovani a lasciare per una volta il pallone da calcio per misurarsi con sport diversi e affascinanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quindi per gli sport minori il segreto per sopravvivere è solo uno, quello di far vincere i propri atleti agli Europei, ai Mondiali e soprattutto alle Olimpiadi. C’è un problema però: per portare ragazzi ad alti livelli sono necessari anni di duro allenamento, di sacrifici. Anni in cui questi giovani non possono far altro che pensare allo sport, rinunciando a tutto il resto, allo studio ma soprattutto al lavoro. E non avendo la possibilità di cercarsi un’occupazione al di fuori della palestra, per vivere hanno bisogno di un sostegno economico fornito dalla società sportiva a cui appartengono.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

O meglio, avrebbero bisogno. Perché qui casca l’asino, visto che soldi per gli sport minori non ce ne sono. Le singole Federazioni (e di conseguenza le società affiliate) ricevono cospicui finanziamenti da parte del Coni (il Comitato olimpico nazionale italiano che ha il compito di curare l'organizzazione e il potenziamento dello sport italiano e di occuparsi della sua promozione) solo se hanno tanti iscritti o se figurano come “vincenti”, ad esempio perché hanno vinto una medaglia alle Olimpiadi. Solo allora vengono “ricompensate”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma come si fa a vincere se non si riesce a sostenere i propri atleti? Ci si trova quindi di fronte al tipico “gatto che si morde la coda”: se non si vince, non si hanno finanziamenti, ma se non si hanno finanziamenti non si può vincere (e non si fanno iscritti). Insomma non se ne esce. E per gli sport minori, abbandonati al proprio destino, non resta che pregare e aspettare che una volta ogni 50 anni nasca un nuovo Juri Chechi o una nuova Federica Pellegrini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ho visto tanti ragazzi che potevano arrivare davvero in alto nello sport e che invece hanno abbandonato perché non sapevano come campare», ammette Giuseppe Noia, presidente del comitato pugliese di uno degli sport minori per eccellenza: la lotta greco romana. «Se un giovane arrivato a 18 anni viene posto davanti alla scelta se continuare a coltivare il sogno di diventare uno sportivo o se cominciare a lavorare o a studiare per guadagnarsi da vivere, sceglie la seconda – sottolinea Noia -.  Di certo entrambe le cose non le potrebbe fare, perché il lavoro e lo studio vincolano a orari precisi e non permettono perciò un allenamento continuo».  


Addirittura sono gli stessi atleti spesso ad autofinanziarsi. I ragazzi che fanno attività pagano infatti una quota mensile alla società di appartenenza, che con quel denaro organizza trasferte, si iscrive alle competizioni e paga allenatori e staff. Ma è chiaro che un sistema di questo genere non può reggere. «Una volta maturo o un atleta riesce a entrare in un corpo sportivo militare o alla fine è costretto a lasciare la propria disciplina sportiva», commenta l’allenatore, che sottolinea quindi come i corpi sportivi militari siano l’unica possibilità concreta per permettere a un giovane di continuare a fare sport.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infatti le varie Polizia, Carabinieri o Guardia di Finanza indicono i cosiddetti “concorsi sportivi” che permettono agli atleti di entrare nelle forze armate, di avere una divisa, ma di fatto di essere pagati per allenarsi e raggiungere risultati sportivi eccellenti per dare lustro al corpo di appartenenza. «Ovviamente gli atleti militari sono solo pochi privilegiati – dichiara il presidente -. Chi entra a far parte ad esempio delle Fiamme Oro (il gruppo sportivo della Polizia di Stato) o delle Fiamme Azzurre (il gruppo della Polizia Penitenziaria) deve rispettare alcuni requisiti, tra cui quello di aver partecipato a gare importanti. Insomma, sono concorsi fatti ad hoc per un certo tipo di atleti: i più forti. Nel bando manca solo che si indichino i nomi e cognomi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il sistema così non aiuta di certo coloro che fin da piccoli sognano di diventare campioni in uno sport. E non a caso all’estero, e in particolare in nazioni forti dal punto di vista sportivo come Russia, Cina, Stati Uniti e Cuba, si usa un metodo diverso per selezionare e formare gli atleti, che a pensarci sembra proprio il più ovvio. Un bambino che decide di praticare una attività sportiva può farlo direttamente nella sua scuola di appartenenza e, una volta cresciuto e migliorato, viene trasferito in un istituto superiore o in un college dove l’istruzione e l’allenamento si conciliano. Così il ragazzo può studiare e competere contemporaneamente, supportato economicamente dal college. A quel punto i migliori atleti vengono selezionati dalle singole scuole per poter far parte delle nazionali giovanili prima e assolute poi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma perché tutto questo non avviene in Italia? «Semplice: perché le scuole non hanno i soldi per poterlo fare», risponde Noia.  Se quindi in altri Paesi lo sport (tutto) viene visto come un’opportunità lavorativa, che se vincente riesce a dare lustro al proprio Paese, in Italia ci si limita a finanziare gli sport maggiori. Spulciando tra le tabelle riepilogative dei contributi assegnati quattro anni fa dal Coni, si legge che più del 40 per cento dei 188 milioni di euro di contributi riservati alle federazioni sportive nazionali sono andati alla sola Figc, la  Federazione Italiana Giuoco Calcio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma se in Italia conta solo il calcio, che senso ha allora partecipare alle Olimpiadi? Forse per perpetrare il perenne vizio nazionale di piangersi addosso, che scatta sempre quando si viene umiliati da Paesi magari meno ricchi, ma che fanno dello sport una propria arma vincente.


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