di Antonio Bizzarro

Spedire un'antenna nello spazio tra il gelo dell'Artico: la storia del barese Vittorio
BARI – Lavorare per l'Agenzia spaziale europea (Esa) in un centro di ricerca ai confini del mondo, con sofisticatissimi apparecchi e ammirando nel tempo libero fantastiche aurore boreali. È l’esperienza trascorsa lo scorso ottobre dal 28enne barese Vittorio Netti, laureato in architettura, che ha collaborato per due settimane al lancio di un innovativo marchingegno nella stazione svedese di Esrange, situata nell’estremo nord della Svezia, a due passi dal Circolo polare artico. (Vedi foto galleria)

La sua avventura è stata resa possibile dal "Rexus/Bexus", il progetto dell'Agenzia che permette agli studenti europei più meritevoli di installare esperimenti tecnologici a bordo di appositi razzi sonda. Il giovane ha infatti conseguito il suo titolo accademico a Venezia con una tesi sui moduli per ambienti extraterrestri, elaborando poi l'idea di un congegno assieme a un gruppo di colleghi del corso di ingegneria aerospaziale di Padova. Vittorio ha lavorato a “Drex”, un’antenna per le comunicazioni "pieghevole", che si apre a un'altezza di 12 chilometri dal suolo prima di proseguire verso l'orbita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Mi sono occupato in particolare della logistica e della comunicazione - spiega Vittorio -. Ho contattato diverse aziende che hanno realizzato gratuitamente varie componenti del dispositivo, provvedendo personalmente alla loro spedizione in Svezia in modo che arrivassero integre. Gli organizzatori del progetto hanno poi approvato e finanziato la nostra intuizione, concedendoci quindi il "go", ossia il via libera per raggiungere la Scandinavia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'impatto con il nuovo posto non è stato semplicissimo. «Siamo giunti nella base il 7 ottobre - continua il 28enne -, "accolti" da poca luce giornaliera e da una temperatura che toccava i dieci gradi sotto zero. Attorno non c'era nulla, a parte una lunga distesa di ghiaccio e strade deserte spesso battute da animali selvatici. I paesi più vicini poi distavano centinaia di chilometri».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«All'interno del centro di ricerca c'erano regole ferree - prosegue il giovane -. Ognuno di noi aveva un badge personale, senza il quale non potevamo circolare tra i vari fabbricati. Il "dome", cioè la zona operativa, era separata dall'area contraddistinta dai dormitori e le cucine, ciascuna delle quali era chiamata con il nome di un astronauta: la nostra per esempio era intitolata a Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Anche gli orari dei pasti si sono rivelati abbastanza scomodi, perlomeno se paragonati a quelli tipici italiani. «Colazione alle 6,30, pranzo alle 11,30 e cena alle 18 - sottolinea Netti -. La sera spesso non avevo fame ma mi toccava comunque mangiare, conscio che non avrei visto cibo fino al mattino seguente. A volte però ci è venuto in soccorso un altro team di lavoro attivo nella stazione, proveniente da Roma: con loro ci siamo permessi diversi "spuntini" a mezzanotte a base di pasta all'amatriciana».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per fortuna il tempo libero ha regalato emozioni insolite. «Una sera siamo andati a pescare su un laghetto ghiacciato nelle vicinanze - evidenzia Vittorio -, bucandolo con un trivellone e usando dei cucchiaini luccicanti come esca: a quelle temperature infatti i pesci non sentono gli odori e per attirarli bisogna "stuzzicarne" la vista, anzichè l'olfatto. E poi ci sono state le notti in cui siamo riusciti ad ammirare spettacolari aurore boreali».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Con il passare dei giorni però le pause si sono fatte sempre più rare. «Abbiamo montato minuziosamente l'antenna - commenta il barese – e pian piano ci siamo avvicinati alla "finestra di lancio", ossia al periodo in cui era previsto il rilascio della sonda attraverso un pallone aerostatico. Il primo tentativo fu però annullato a causa delle intemperie, il secondo andò a buon fine dopo un conto alla rovescia durato quattro ore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una grossa soddisfazione, tenendo conto poi che il titolo di studio di Vittorio è ben lontano dalle materie aerospaziali. «Quando scelsi la facoltà di architettura – conlude il ragazzo - mai avrei immaginato che un giorno avrei potuto lavorare in una base di lancio, realizzando almeno in parte il sogno che sin da piccolo custodivo nel cassetto: fare l'astronauta». 

(Vedi galleria fotografica)


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