di Eva Signorile

La storia della 97enne Vincenza: «Io, "sigaraia" dell'ex Manifattura Tabacchi di Bari»
BARI – Vi abbiamo già parlato dell’ex Manifattura Tabacchi, enorme struttura presente dal 1913 nel rione Libertà di Bari, voluta dal re Umberto II per strappare dalla miseria il capoluogo pugliese. Qui fino agli anni 70 trovarono impiego migliaia di operai, perlopiù donne. Ma di quella che era la vita all’interno di questo gigante di 200mila metri quadri, soprattutto prima della guerra, si sa ben poco. Noi però siamo riusciti a trovare una delle prime “tabacchine” ancora in vita: si tratta dell’oggi 97enne Vincenza Sibillano (nella foto), terlizzese di nascita ma barese ormai da ottant’anni, da quando cioè nel 1936 varcò per la prima volta i cancelli dell’opificio per iniziare a lavorarci.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Voi la conoscete la miseria? Riuscite a immaginarla? – ci chiede subito accogliendoci nella sua casa nel rione Libertà –. Io sì, l’ho conosciuta. Per questo quando seppi del concorso vi partecipai e lo superai. Avrei compiuto 17 anni tre mesi dopo, l’età minima per essere ammessi, ma mi presero lo stesso. Per me fu una fortuna entrare alla Manifattura».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il “concorso” di cui ci parla Vincenza consisteva in realtà in una semplice visita medica. Bastava dimostrare di essere in salute per poter essere assunti. In salute perché lì dentro c’era da faticare tanto: si entrava al mattino, al suono della campana della fabbrica e si usciva nel pomeriggio. Nel mezzo ore e ore di lavoro in un enorme laboratorio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Vincenza fu assegnata al reparto sigari. «Facevamo i toscani e i toscanelli – ci spiega. -  Eravamo quasi tutte donne, divise per squadre. Nel mio gruppo c’erano dodici operaie guidate da una “maestra”». Oltre alla sua c’era anche una sezione per le sigarette, mentre un’altra si occupava della “scorsolatura”, cioè la pulizia e la cernita delle foglie di tabacco che arrivavano dal Salento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il compito delle “tabacchine” necessitava di pazienza e precisione, era questo il motivo per cui venivano preferite le mani piccole delle donne a quelle degli uomini. «La nostra non era una mansione facile – sottolinea l’anziana -. La colla ad esempio, quella era terribile. Ci intingevi le dita per sigillare i sigari e la trovavi gelida. Non si poteva riscaldare altrimenti si rovinava e in inverno maneggiarla diventava molto dura. Ancora oggi le mani mi fanno male».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Alla fine della mattinata c’era però la pausa pranzo. «Suonava una campanella e allora dal primo piano scendevamo e raggiungevamo la mensa - ci racconta Vincenza -. Qui gli inservienti ci somministravano il pasto. Era cibo povero, da tempo di guerra».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Il guadagno poi non era scontato. «Lavoravamo a cottimo – sottolinea la “sigaraia” – dovevamo produrre 1500 sigari al giorno. Se non ci riuscivamo, ricevevamo solo qualche spicciolo. Poteva capitare a volte di raggiungere l’obiettivo prima dell’orario di fine lavoro: in quel caso rimanevamo seduti ad aspettare la campana dell’uscita».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La fine della giornata lavorativa all’opificio era un  momento particolare per il quartiere, come ci dice Angelo, uno dei due figli di Vincenza, ora 61enne. «Alla Manifattura lavoravano quasi solo donne – racconta divertito – e così l’uscita dalla fabbrica era molto attesa dagli uomini e dai ragazzi della zona, che spuntavano dappertutto per assistere alla “sfilata” delle operaie. Era una specie di festa che si ripeteva ogni giorno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lui e suo fratello maggiore Armando hanno passato una piccola parte della loro vita all’interno della Manifattura, fabbrica che prevedeva un servizio molto “moderno”, quello della nursery e dell’asilo, lì dove le lavoratrici potevano lasciare i figli durante la loro attività. «I bimbi restavano alla “maternità”, dove c’erano delle donne che se ne prendevano cura – rammenta la 97enne – e ogni due ore scendevamo per allattarli».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I figli di Vincenza conservano un ricordo vivissimo della Manifattura. «Nella fabbrica c’era anche un cinema, l’Arena Giardino: vi si entrava da via Nicolai e funzionava per tutta l’estate – dichiara Angelo -. Ogni anno la serata inaugurale delle proiezioni era dedicata a noi figli di dipendenti ed ex dipendenti: entravamo gratis e la sala era tutta nostra, ma la cosa più bella era che durante la proiezione ognuno di noi riceveva un cremino. Vedevamo il film e mangiavamo il gelato: era un momento che aspettavamo tutti con ansia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Vincenza lavorò alla Manifattura per vent’anni, fino alla fine degli anni 50. La fabbrica continuò poi a produrre sigari e sigarette fino agli anni 70, continuando a diffondere nell’aria attraverso le ciminiere l’odore caldo del tabacco: quell’aroma che per decenni è stato il tratto distintivo del quartiere Libertà.


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