di Mariangela Dicillo

Quando la prostituzione era legale: la storia delle case chiuse di Bari
BARI - C'erano una volta, anche a Bari, le case di tolleranza. Attive come nel resto d’Italia fino al 1958, quando la legge Merlin proibendo la prostituzione mise fine a un certo modo di intendere il sesso a pagamento. Se ora infatti si è abituati a ragazze sfruttate agli angoli delle strade o al contrario alle escort da centinaia di euro a notte, prima il lavoro delle lucciole era abbastanza “normale” o comunque più accettato dalla comunità. E quindi era facile trovare tra un palazzo e l’altro quello dedicato alla prostituzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I luoghi del sesso legale di Bari erano concentrati tutti nel murattiano e se ne contavano circa una quindicina. Ricordiamo il civico 188 di via Dante, il 215 di via Principe Amedeo, il 3 di via Garruba, il 31 di via Eritrea (il “Villino delle rose” che a detta di Gianni era «il posto più bello e di lusso di Bari»), il 25 e il 51 di via Argiro, il 65 di via Marchese di Montrone, il 30 e 57 di Corso Vittorio Emanuele.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Adesso questi palazzi, alcuni anche antichi, ospitano appartamenti, uffici o esercizi commerciali (come l'asilo al 188 di via Dante) o sono stati abbattuti, come il Villino delle rose. (Vedi galleria fotografica).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Erano edifici molto curati e pieni di fascino – dice il 78enne Carlo, frequentatore dei bordelli baresi negli anni 50 -. Al loro interno c’era sempre la musica altissima: mi ricordo quando da piccoli ci passavano vicino si sentivano sempre le canzoni di Nilla Pizzi». Ma il suo amico Gianni, ora 82enne, anche lui assiduo cliente dei casini, non è d’accordo. «Ma no - afferma -. Nilla Pizzi durò pochissimo. Perchè poi arrivarono le americane e ci portarono la musica swing. Oppure mettevano sempre quella canzone che fecero conoscere a Bari le prostitute milanesi che faceva "Ba-ba-baciami piccina", quella che poi è diventata famosa insomma».  
 
Le ragazze come dicono i due anziani arrivavano anche da fuori per “aiutare” le prostitute baresi a soddisfare i “sogni” degli uomini. «Erano tutte donne bellissime - dice Gianni -. Mi ricordo di Candy, la più straordinaria di tutte. Si truccavano, avevano i capelli sempre pettinati, i vestiti corti e le labbra rosse. Mica come le donne comuni, trasandate, sempre impegnate nelle faccende domestiche e spesso povere. Quelle erano le ragazze che tutti gli uomini sognavano». E in quei posti veniva “svezzato” ogni barese una volta compiuta la maggiore età. «Una volta fatti 21 anni si accompagnava il neo maggiorenne in una delle case - ricorda Carlo - doveva dimostrare che era diventato finalmente un uomo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Ricordo la prima volta che ci entrai, ero appena maggiorenne e ne rimasi incantato - racconta Gianni -. Si passava attraverso un androne molto grande e ci si fermava nella hall in attesa del proprio turno. Poi si andava dalla maîtresse (temine che in barese storpiavamo con “matrona”), la signora che era al comando di tutte le ragazze e si chiedeva alla cassa la "marchetta", un gettone da consegnare alla prostituta con cui si sceglieva di appartarsi, che costava 250 lire (l’equivalente di 20 euro di oggi). Ragazze una più bella dell'altra scendevano dalle scale e finché non se ne sceglieva una, si poteva rimanere giù a sorseggiare whisky e a mangiare dolci fatti in casa o, ogni tanto, focaccia appena sfornata».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E le donne baresi che cosa pensavano di queste ragazze? «C'era chi era più intelligente e non si esprimeva, chi era più pettegola e puntava il dito contro di loro - afferma la 74enne signora Franca -. Una cosa era certa: ogni donna cercava di nascondere l'esistenza di questa realtà agli occhi dei bambini».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma c'era chi, proprio tra i bambini, era più furbetto e riusciva lo stesso a venire a contatto con le case chiuse. «Quando avevo poco più di dieci anni lavoravo in un bar in via Crispi - narra ancora Carlo -. Il proprietario dell'esercizio era l’amante di una “matrona”. Ogni mattina mi mandava a portare il caffè in un casino del centro e la tenutaria mi permetteva di portare la bevanda nelle camere delle ragazze. E io con la  scusa di essere piccolo, mi fermavo nelle camere e trascorrevo del tempo con loro. Poi raccontavo ai miei amici tutto: dalle gambe scoperte alle scollature esagerate».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma arrivò il 1958 e la legge Merlin rese illegali tutte le case di tolleranza. I bordelli furono costretti a chiudere, per riaprire in realtà in forma più dimessa e clandestina in altri punti della città, più periferici: nel quartiere Libertà, a San Girolamo, a San Cataldo (dove via Marconi per anni fu definita “strada a luci rosse”) e in seguito sul lungomare. Qui ancora adesso sono presenti delle “casette”, vago ricordo dei giorni in cui si beveva whisky e si ascoltava musica, aspettando di passare in paradiso, che era “solo lì, al primo piano”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 


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  • Annaclara F. - Quindi, secondo la testata e la giornalista, una donna "intelligente" accetta il tradimento come farebbe come un mazzo di fiori perchè "i maschi sono maschi" e non si puó far nulla? Speravo che, ad oggi, tali idee distorte non fossero diffuse con tanta leggerezza solo per creare attenzione!
  • Nicola - Mi sembra che la definizione di "intelligente" sia di una intervistata e non della giornalista che, in questo caso, si limita a riportare le varie testimonianze. E' indubbio, avendo ascoltato molti pareri di contemporanei, che le case chiuse a quei tempi fossero accettate dalle donne come una presenza inevitabile. Il '68 con i suoi movimenti rivoluzionari cambierà, ma mai completamente, la sudditanza della donna. NB: l'età minima per l'accesso doveva essere sicuramente 21 anni. Solo dal 1975 si è maggiorenni a 18 anni.
  • Nicola LARICCHIA - Credo manchino all'appello almeno altre 4 Case di tolleranza: via Melo 190, al quartiere Madonnella a metà di via Michelangelo Signorile, via Capruzzi dove c'è il gommista prima del sottopassaggio S'Antonio e corso Benedetto Croce affianco alla cornetteria.
  • paffsharik - avete dimenticato la casa di via abate gimma 36,detto il 36,secondo in "qualita'",dopo il villino delle rose.
  • Guido - L'età per accedere nelle case di tolleranza era di 18 anni lo so bene perché essendo nato il 18 - 8 - 1939, le ho pfrequentare per 13 mesi
  • Francesca - Avrei bisogno di ulteriori notizie sulle case chiuse , grazie
  • Stefano - questo articolo conferma l'ipocrisia inculcata dagli anni 450 in poi in merito a questa tipologia di rapporti umani. Per chi non lo sapesse o fa finta di non saperlo, la prostituzione esiste anche maschile, quella che con il francesismo si chiamano Gigolò. Nel Nord Italia è abbastanza diffusa ed in svizzera, ai confini con l'Italia esistono tanti locali dove è possibile incontrare uomini e donne per tutti i gusti. Magari frequentati da quelli che alla luce del giorno fanno gli ipocriti.


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