di Luca Carofiglio

La "terza via": per dare un futuro a mamme e bimbi che scappano dalla 'Ndrangheta
Si potrebbe chiamare la “terza via” ed è una chance che viene concessa a quelle donne legate alle organizzazioni criminali che decidono di scappare da una vita fatta di paura e morte. L’aiuto viene fornito da Libera, che da alcuni anni ha iniziato a nascondere le “fuggiasche” assieme ai propri figli in alcuni posti segreti sparsi per tutta l’Italia. Finora sono state aiutate già una ventina di mamme, tutte legate alla ‘Ndrangheta calabrese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

C’è un problema però: loro non sono né collaboratrici né testimoni di giustizia e quindi non rientrano nel servizio di protezione statale previsto dalla legge 45/2001. Di fatto quindi si tratta di persone a rischio, la cui incolumità è garantita solo temporaneamente da un protocollo firmato nel febbraio scorso dall’associazione con diverse istituzioni. Un accordo però in cui lo Stato continua a mantenere un ruolo secondario.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ne abbiamo parlato con Enza Rando, responsabile dell’ufficio legale di Libera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Chi state aiutando?

Mamme che decidono di staccarsi dalla famiglia mafiosa per ridare dignità alla propria vita e un futuro ai propri figli. Non si tratta però di collaboratrici di giustizia, visto che il loro ruolo all’interno della ‘Ndrangheta non è così importante da poter “servire” allo Stato per acquisire rivelazioni e informazioni rilevanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Come avviene il distacco?

Bisogna distinguere tra due tipi di situazioni. La prima riguarda donne nate e cresciute in un contesto mafioso che a un certo punto, una volta capito il destino criminale che attende i propri figli, chiedono aiuto al Tribunale, che a sua volta ci contatta per organizzare la “fuga”. Nel secondo caso invece abbiamo di fronte persone pentite, che magari hanno anche conosciuto il carcere e a cui sono stati tolti i bambini in seguito a provvedimenti di sospensione della potestà genitoriale. Donne che dopo aver riflettuto decidono anch’esse di affrancarsi dai propri mariti chiedendo di riallacciarsi ai figli nel frattempo affidati ad altre famiglie “adottive”.


Dove nascondete mamme e bambini?

In luoghi lontani dai propri territori di appartenenza, in giro per l’Italia. Ma non ci limitiamo a questo. Ci impegniamo infatti a creare per mamma e figlio un “mondo nuovo”: diamo loro una casa, un posto di lavoro, un sostegno psicologico. E ai piccoli  offriamo stimoli derivanti dallo sport, dallo scoutismo, dalla partecipazione a corsi. La speranza è che questo diventi un viaggio di “rinascita”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E loro come rispondono?

Mi basta citare un esempio: un minore che alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” rispondeva sempre “quello che fa papà, che ha la moto e la pistola”. Sembrava senza speranza, ma nel giro di un anno e mezzo, imparando a vivere accanto ad altri coetanei “normali”, è ritornato a essere un “vero bambino” e a sognare di diventare astronauta e veterinario.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le famiglie di appartenenza come la stanno prendendo?

Chiaramente molto male. Non posso nascondere che periodicamente ci arrivano lettere e messaggi minatori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non vivete sempre con la paura che il nucleo venga rintracciato?

Diciamo che attualmente grazie al protocollo firmato riusciamo a tutelarli, garantendo ad esempio il loro anonimato, specie per i bambini che devono iscriversi a una nuova scuola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma voi vorreste di più…

Sì, chiediamo che la politica vari una legge ad hoc, una soluzione che noi chiamiamo “terza via”  che prenda spunto dalle norme per i collaboratori e i testimoni di giustizia. In questo modo sarebbe direttamente lo Stato a occuparsi di queste donne, con mezzi sicuramente più importanti dei nostri, in modo da favorire il loro reinserimento nella società. Si tratta di persone che si sentono già tradite dalla vita: noi abbiamo il dovere di garantirgli un futuro migliore.


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