di Carlo Maurantonio - foto Antonio Caradonna

Bari, la desolata e selvaggia Cava di Maso: quel parco spazzato via dall'alluvione
BARI – Un fossato profondo 40 metri su cui affacciano a strapiombo schiere di palazzi. E’ il particolare scenario di Santa Rita, quartiere di Bari sviluppatosi a partire dalla fine degli anni 80 a ridosso della grande cava di pietra “Di Maso”. (Vedi foto galleria)

Una zona periferica che nel 2004 ebbe modo di valorizzarsi grazie a un parco realizzato proprio nel “canyon”, area attrezzata che però dopo appena un anno fu spazzata via da una tremenda alluvione che colpì la città nella notte tra il 22 e il 23 ottobre del 2005. L’acqua, convogliata dalla vicina lama Picone, affluì come un fiume in piena nella cava andando a sommergere tutto ciò che era stato costruito. Nel corso di quell’evento perse la vita un’intera famiglia e le pareti del “cratere” subirono un forte indebolimento. 

Oggi questo cratere è diventato sinonimo di abbandono e paura, visto che con la sua imponenza minaccia l’esistenza degli edifici sovrastanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per raggiungere dal centro di Bari la depressione bisogna percorrere tutta via Giulio Petroni, strada che dopo una grande rotonda prende il nome di viale Trisorio-Liuzzi. Arrivati all’altezza dell’ospedale Di Venere un incrocio permette a sinistra l’accesso a Carbonara e a destra al quartiere più nuovo, un tempo denominato per l’appunto “Carbonara 2” prima che cambiasse definitivamente nome in Santa Rita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Decidiamo di iniziare il nostro viaggio nella parte più a sud del rione, lì dove si trova la chiesa che dà il nome alla zona, eretta in via dei Costruttori della Pace nel 2000. E’ su questa strada infatti che è presente il cancello che permette l’ingresso nel fossato. A terra, nei pressi dell’entrata, un triste cartello divelto informa che siamo vicini alla “miniera del divertimento ex Cava Di Maso, parco pubblico protetto”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma prima di accedere incontriamo il 57enne Raffaele e suo figlio Giuseppe, di 23. «Abito in questo quartiere dal 1992 – ci dice l’uomo -. Siamo stati sempre abituati all’isolamento dal resto della città, ma quando costruirono il parco la zona si rivitalizzò. Ricordo quanto fosse bella la Via Crucis che, organizzata dalla parrocchia del quartiere, si svolgeva percorrendo i tornanti del canyon. Ma purtroppo un bel giorno tutto fu spazzato via da quella maledetta alluvione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Giuseppe aveva solo 10 anni nel 2005 ma il ricordo del disastro è in lui ancora vivido. «Uscimmo tutti quanti dai nostri appartamenti e ci riunimmo sulle scale – ci dice -. Dalle finestre delle rampe osservavamo l’acqua marrone scendere dalle pareti della cava, inesorabilmente».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Salutiamo i due residenti ed entriamo quindi in questo posto desolato grande all’incirca 300 metri per 200 che fu scavato tra gli anni 60 e 70. Una stradina asfaltata ci permette di scendere pian piano. Ci guardiamo intorno: le pareti rossastre del canyon sono decorate qua e là dal verde di piccoli cespugli e risultano completamente coperte da una rete in ferro utile a frenare eventuali cadute di terriccio e pietre.  

Man mano che ci avviciniamo al fondo la via si fa sempre più larga, sino ad arrivare a una piazzola: il vecchio parcheggio del parco. Qui i visitatori avevano accesso a un’area verde dotata di campi di calcio e basket, una pista per pattinare e un bar.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attorno a noi però vediamo solo una costruzione in legno che spunta fuori da un mare di erba e la carrozzeria di una vecchia auto, probabilmente trascinata qui dalla corrente d’acqua durante l’alluvione. Sullo sfondo è poi visibile una diga: fu costruita dopo per liberare la buca da tutta l’acqua. Scendendo ancora possiamo poi raggiungere gli unici due edifici del parco ancora “esistenti”: ruderi sommersi dalla vegetazione che un tempo ospitavano il bar e i bagni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E’ tanta la desolazione che ci circonda e al centro della cava ci sentiamo davvero piccoli, sopraffatti come siamo dalle alte e nude pareti di roccia. Una sensazione che proviamo ancora più forte quando raggiungiamo la zona su cui si affacciano a strapiombo le palazzine di via Rocco di Cillo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Quelle costruzioni sono fortemente a rischio – ci avverte l’esperto del territorio Nicola De Toma -.  Il drenaggio necessario per lo svuotamento del fossato dall’acqua ha infatti indebolito la “struttura” del fossato: se le pareti cedessero per gli edifici sarebbe la fine. La speranza è che possano partire a breve gli annunciati lavori per il consolidamento del sito».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta ora che tornare sui nostri passi: risaliamo, ma prima di salutare il quartiere raggiungiamo un piccolo rettangolo verde che si affaccia sulla cava. E qui, attraverso una retina che ci separa dal vuoto, ammiriamo il grande canyon nella sua bellezza così triste e selvaggia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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