di Stefania Buono

Divinità orientali, riti e tanto colore: viaggio nel "mandir", il tempio induista di Bari
BARI – Nel quartiere San Cataldo di Bari, in via Massaua, nascosto da un muretto, da piccoli alberi e un anonimo cancello, si trova un tendone bianco e rosso non più grande di una ventina di metri quadri. Quello che all’apparenza può sembrare l’esterno di un piccolo circo, in realtà racchiude riti sacri, altarini, misticismo, religione e tanto colore. Siamo infatti di fronte a un mandir: l’unico tempio induista di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E’ stato aperto nel 2003 per dare ai mille fedeli hindu presenti in città un luogo dove poter pregare e meditare. I devoti sono quasi tutti di nazionalità mauriziana, ma non manca qualche indiano. Noi siamo riusciti a entravi la sera dello scorso 8 giugno (vedi foto galleria), in occasione di una celebrazione dedicata alla dea Parvati, madre di Ganesh, il dio induista più conosciuto (per intenderci, quello con la testa di elefante).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sono le otto di sera e il cielo si sta pian piano oscurando. La porticina del cancello bianco sulla via è aperta e ci permette di intravedere le luci all’interno. Accediamo e ancora prima di entrare nel tendone notiamo sulla nostra sinistra una piccola statuetta. Raffigura Hanumat, un altro degli innumerevoli dei di questa religione, con le sembianze di una scimmia: personifica saggezza, devozione, giustizia, onestà e forza. Sull’ingresso è invece presente la scritta “Radha Krishna mandir Bari”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La cerimonia sacra è iniziata, ma prima di entrare ci togliamo le scarpe, lasciando fuori, come comanda la religione hindu, il mondo esterno “fatto di impurità e imperfezioni”. Appena varcata la soglia del tendono ci accoglie una piccola campana di ottone suonata dai fedeli per scacciar via gli spiriti maligni. Ed eccoci finalmente dentro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci colpiscono subito le statuette di porcellana e le tele raffiguranti alcune delle divinità più importanti, tra cui Sharadiya Durga Puja, dalle tante braccia e dal sorriso allamaliante. Sui ripiani in cui sono poggiate le miniature osserviamo anche fiori, candele accese e diversi tipi di frutta. Di fronte alla tela di Shiva, uno dei culti principali dell’induismo, vi è un altarino dove è poggiata una pietra dalla forma ovale chiamata linga: è una delle possibili forme che può assumere Shiva, nello specifico quella “dell'assoluto trascendente senza principio né fine”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Nel tempio ci sono una trentina di uomini, donne e ragazzi vestiti con abiti tipici indiani molto colorati, e non possiamo fare a meno di notare anche una bella bambina dai capelli scuri e ricci che avrà all’incirca 6 anni. Alcuni sono seduti su delle sedie, la maggior parte però si è accomodata a gambe incrociate su alcuni cuscini posizionati per terra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La celebrazione sembra essere molto tradizionale. Un sacerdote, seduto accanto ad alcuni fedeli e rivolto verso la raffigurazione della dea Parvati, recita diverse scritture in una lingua mista tra l’hindi e il sanscrito mentre gli altri restano in rigoroso silenzio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma a un certo punto ecco che l’uomo comincia a intonare degli inni sacri: i fedeli lo accompagnano con la voce e battendo le mani a tempo o suonando alcuni strumenti. La musica è allegra e coinvolgente. C’è chi suona un paio di sonagli con piccoli piatti, chi il dholak, un tamburo indiano e chi la chimta (un lungo bastone con attaccati tanti piccoli campanelli).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Durante i canti viene fatta passare fra i presenti una ciotola contenente un liquido rosso. Tutti intingono il loro anulare nella ciotola e lo poggiano al centro della loro fronte, così da “disegnare” il “bindi”, il classico pallino rosso tipico dei popoli orientali. Un signore accanto a noi che sta bagnando il suo dito ci confida: «Sono le donne a portare sempre il bindi, mentre gli uomini si limitano alle cerimonie ufficiali. Lo facciamo perché la fronte è la sede della nostra saggezza e questo pallino simbolicamente permette di trattenere l’energia che c’è in noi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E dopo che una donna ha posato dei piccoli fiori sulle scritture che i credenti hanno tra le loro mani, i fedeli si alzano e si dirigono verso il piccolo altarino, dove uno ad uno riempiono un piccolo recipiente di acqua versandola sulla linga al centro dell’altare. Questo atto viene chiamato tarpana ed è un simbolico ringraziamento al dio Shiva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Stiamo per rimetterci le scarpe e andare via (visto che la cerimonia durerà all’incirca tre ore), quando il segretario del mandir barese, Vinod, ci invita ad aspettare ancora qualche minuto. Si allontana un attimo e ritorna con un sacchetto pieno di leccornie dolci, prese dal banchetto dove gli induisti consumeranno cibo vegetariano al termine della celebrazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lusingati ringraziamo, ma Vinod agita le mani e ci rimprovera. «Non bisogna ringraziare – ci dice salutandoci - ma accettare in silenzio. Questo cibo non è nostro ma degli dei e per questo appartiene a tutti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)


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