di Alessia Schiavone

La tipografia che stampa ancora con i caratteri mobili: «A Bari dal 1934»
BARI - La sua invenzione risale al 1455 ed è stata attribuita a Gutenberg, anche se si dice che in Asia c'era chi la praticava già dall'XI secolo. Stiamo parlando della stampa a caratteri mobili che, nonostante l'avvento della stampa digitale, riesce ancora a sopravvivere, anche a Bari. La "Tipografia del commercio" di Lecce, di cui avevamo parlato in un articolo precedente, non è infatti l'unica in Puglia a mantenere viva l'antica tecnica. Nel capoluogo i caratteri mobili resistono ancora nella storica tipografia Danisi attiva dal 1934 e che solo per pochi anni non ce l'ha fatta a rientrare nella nostra lista di negozi antichi baresi, dato che il limite temporale che ci eravamo fissati per la nostra ricerca era il 1930.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ubicata in via Davanzati, nei pressi di Piazza Umberto, la tipografia si presenta oggi in una veste rinnovata. A prima vista infatti non si direbbe che il negozio abbia addirittura più di ottant'anni. Recente è l'insegna blu e rossa con il nome dell'azienda che sovrasta l'ingresso e al passo con le nuove esigenze i numerosi oggettini ricordo esposti in vetrina e sugli scaffali di vetro. Solo una volta entrati e dopo aver scambiato qualche parola con la proprietaria, iniziamo a respirare l'atmosfera di un posto che nella sua apparente modernità ha invece tanto da raccontare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
«L'azienda nasce in realtà nel 1924 a Palo del Colle per mano di mio padre Tommaso Danisi che dopo dieci anni aprì una sede anche a Bari- racconta la 72enne Giovanna Danisi -. La sede originaria era sempre in via Davanzati, ma al numero 28, in un palazzo antico che una volta abbattuto ci costrinse a traferirci nel 1959 nell'attuale edificio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Alla morte di Tommaso nel 1966, l'attività fu ereditata dai suoi quattro figli per poi passare definitivamente nel 1980 sotto la guida di Giovanna che insieme con suo marito Domenico Milella ne divenne la proprietaria. A continuare la tradizione di famiglia è subentrata in società, nel 1996, anche la figlia maggiore dei due, Lucia Milella.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Basta scendere le scale e raggiungere il laboratorio al piano inferiore per scoprire il tesoro che la famiglia Danisi da decenni custodisce (vedi foto galleria). Ad accoglierci il suono degli strumenti da lavoro in funzione, il profumo della carta e alcuni dei macchinari storici ancora oggi utilizzati. Ce ne sono addirittura due risalenti al 1800, che Tommaso Danisi acquistò nei primi anni di vita della tipografia. E’ possibile notare l'inchiostro che passa attraverso i rulli sul carattere e il pedale con cui la macchina viene messa in funzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Su un tavolo da lavoro non passano inosservati i caratteri mobili tipografici: tanti blocchetti metallici con la lettera in rilievo incastrati secondo un ordine ben preciso e che dopo la stampa vengono scomposti per essere utilizzati in una nuova combinazione. Una procedura che richiede quindi pazienza ed estrema precisione, ma il cui risultato finale sarà ogni volta unico e mai uguale a quello precedente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Negli anni sono state tante le tecniche che si sono succedute e variegati i prodotti realizzati con questi macchinari, anche se ormai fanno parte del passato. «Durante gli anni della Seconda guerra mondiale mio padre non fu chiamato a combattere ma restò in tipografia a occuparsi della stampa di registri comunali e scolastici o di biglietti ferroviari», ricorda Giovanna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Negli anni 50-60 invece si stampavano, con caratteri mobili giganti di metallo o di legno, manifesti di ogni tipo: il formato massimo era 1x70m. Il pezzo forte della tipografia erano però i calendari, dotati dei caratteristici blocchetti con i fogli numerati che si sfogliavano giorno per giorno e su cui venivano applicate immagini colorate. Un'epoca quella dei calendari che però non è più ritornata. «Ma negli anni 70-80 realizzavamo cartoncini colorati su cui venivano stampati dei caratteri stravaganti e insoliti e che esistevano solo sotto forma di matrici - racconta la donna-. Ogni cliente in questo modo aveva la possibilità di scegliere il carattere che più si addiceva alla circostanza e creare così biglietti, soprattutto d’invito, personalizzati. Eravamo gli unici in città a creare questo genere di lavori».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Queste tecniche però durarono solo pochi anni, visto che già a partire dagli anni 90 il computer entrò con prepotenza in tipografia, dettando modi e tempi di produzione. Ad oggi solo una parte della produzione Danisi si basa ancora sui caratteri mobili mentre il resto ha dovuto adeguarsi all'evoluzione del mercato. I caratteri mobili vengono utilizzati prevalentemente per un certo tipo di partecipazioni nuziali o per biglietti personalizzati e sono rivolti soprattutto a chi ne richiede una quantità ridotta. Anche se la differenza rispetto alle stampe digitali è evidente: le lettere non sono unite, il colore è pieno, la pressione sulla carta non è omogenea. Di fatto i caratteri mobili conferiscono quel quid di prestigio e fascino che le comuni carte stampate non possiedono.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«E comunque alcune produzioni possono essere eseguite solo attraverso questa tecnica – sottolinea orgogliosa Giovanna-. Ad esempio le pergamene con la benedizione apostolica che vengono richieste al Papa in occasione dei matrimoni, spesso arrivano con degli errori. Ebbene, l'unico modo per correggerle è utilizzare le vecchie macchine. Altro che computer, con quelli non lo si potrebbe mai fare». 

(Vedi galleria fotografica)


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