di Alessia Schiavone

Quando Bari fu alluvionata: un palazzo nel rione Libertà ricorda il dramma del 1926
BARI- "Alluvione VI novembre MCMXXVI". E' questa l'iscrizione incisa su tutti gli architravi che incorniciano i portali d'ingresso dell'imponente fabbricato stretto tra le vie Nicolai, Martiri D'Otranto e Don Bosco del quartiere Libertà di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si tratta delle cosiddetta “casa degli alluvionati" (Vedi foto galleria), costruzione edificata tra gli anni 20 e gli anni 30 e destinata a coloro che erano rimasti senza un alloggio proprio in seguito all'alluvione che il 6 novembre 1926 colpì il capoluogo pugliese, provocando tra l'altro 19 morti e 50 feriti. Ma questa fu solo l'ennesima strage che coinvolse Bari nel primo trentennio del XX secolo. Negli anni precedenti, a poca distanza l'una dall'altra, si erano susseguite altre due alluvioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Come conseguenza dell'espansione della città, una prima piena proveniente da lama Picone travolse ripetutamente strade ed edifici nel 1905. Le acque si riversarono lungo il versante sud-ovest della città, provocando vasti danni soprattutto nelle vie Manzoni, Sagarriga Visconti, Quintino Sella, De Rossi, Crisanzio, Garruba, Dante Alighieri, Putignani, Calefati. Ma non finì qui. Dopo solo dieci anni, nel settembre 1915, due impetuose correnti alluvionali, provenienti una da Cassano Murge e l’altra da Noci e Putignano annientarono nuovamente l'abitato, causando ancora morti e feriti. Con l'ultimo nubifragio del 1926, si presero finalmente dei provvedimenti e si misero in atto piani urbanistici per prevenire ulteriori catastrofi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra questi fu messo in opera il rimboschimento di una vasta area dell’alto bacino del Picone, corrispondente all’attuale foresta Mercadante di Cassano e da cui si riteneva provenissero le acque alluvionali e fu realizzato un canale deviatore: il cosiddetto Canalone. E nell’occasione l'Istituto fascista autonomo per le case popolari commissionò all'ingegnere Giuseppe Favia il progetto per l'edificazione del condominio per gli alluvionati del quartiere Libertà.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Siamo andati a dargli un’occhiata. Girando attorno alla struttura, intermezzata da file logorroiche di finestre, è possibile notare quattro smussi d'angolo che, oltre ad arrotondare il blocco rettangolare, sono caratterizzati da quattro ingressi che insieme agli altri sei disposti lungo le facciate recano a ripetizione tutti la stessa epigrafe: "Alluvione 6 novembre 1926". Si tratta dell'incisione originaria che se su alcuni portali ha mantenuto le vecchie sembianze, impregnata di un triste grigio oliva, su altri invece appare visibilmente ridipinta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Dotato di cinque piani, dopo circa novant'anni, il complesso edilizio conserva quasi intatti alcuni elementi tipici dell'architettura fascista. Per esempio sulla facciata che fronteggia l'antica Manifattura dei tabacchi, campeggia un’edicola celebrativa di chiara ascendenza michelangiolesca con inciso l’anno fascista di edificazione (1928). Tra le due colonne in marmo, ingrigite e sormontate dallo stemma sabaudo, regnano la scultura di un'aquila, antico simbolo romano ripreso dal regime in molte costruzioni, e una nicchia vuota che quasi sicuramente in origine ospitava un fascio littorio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Sul lato opposto invece, quasi a voler dare una boccata d'aria alla rigida monotonia del poligono, interviene una cancellata in ferro, in gran parte sporca di ruggine, oltre la quale si intravede un fitto giardino che avvolge completamente i cortili interni dell'abitato. A riportare l'ordine, ci sono però due fasci littori che inquadrano il cancello sovrastato tra l'altro da del filo spinato che fatica a reggersi dritto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Ci lasciamo alle spalle le case degli alluvionati e ci dirigiamo in via Garruba e via Trevisani. Qui due targhe di recente fattura ci ricordano ancora una volta le disastrose alluvioni del 1905, 1915 e 1926, con segnata accanto persino l'altezza dell'acqua sul livello stradale. Sulla prima sono indicati rispettivamente in metri 0,70, 0,70 e 0,90.  Sulla seconda invece 0,40, 0,52 e 1. Quasi a voler mantenere, intrappolati in quelle mura, i segni indelebili di quei furiosi eventi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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  • filippo - mi complimento per l'interessante servizio e per tutte le Vostre inchieste e storie sulla nostra amata BARI ... Grazie ancora per il lavoro
  • BARINEDITA - Grazie a lei Filippo! Continui a leggerci, c'è ancora tanto da raccontare
  • antonio - a quell'epoca costruivano palazzi imponenti per i poveretti colpiti dalle calamità naturali, oggi a malapena hanno i container.


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