di Francesco Savino

La storia degli antichi ''orologi da torre'': a Bari ce ne sono otto ancora funzionanti
BARI – C’era un tempo, nel secolo scorso, in cui conoscere l’ora esatta era un lusso riservato a pochi fortunati che potevano permettersi un orologio al polso o magari nel taschino. Agli altri non restava che ascoltare i rintocchi delle campane o alzare gli occhi verso l'alto, in direzione di un importante palazzo. Molte chiese ed edifici pubblici portavano infatti sul campanile o sulla facciata un “orologio da torre”, vero e proprio punto di riferimento per un’intera comunità. Bari non faceva eccezione e ad oggi otto di questi orologi sono ancora visibili e funzionanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'orologio della Stazione Centrale ad esempio e quello che campeggia sulla torre del palazzo della Provincia: il più grande di tutti. E ancora i quadranti fissati sul palazzo dell'Ateneo con la sua facciata rivolta verso piazza Umberto, sulla Camera di Commercio in corso Cavour, in cima all’antico palazzo del Sedile in Piazza del Mercantile, sulla Stazione ferrotramviaria in via Napoli, in cima alla Prefettura su Corso Vittorio Emanuele e sulla scuola Garibaldi di via Manzoni. (Vedi ampia galleria fotografica)

Orologi che vanno curati per preservarne la precisione e l’efficacia. A Bari Domenico Mongelli è uno dei pochi orologiai in Puglia ad occuparsi di questo tipo di manutenzione. Nel suo laboratorio di via Abbrescia sembra che il tempo si sia paradossalmente fermato. Lo stile è tipicamente ottocentesco, l'ingresso è fatto da una porta in legno, fiancheggiata da due vetrine verticali in cui sono esposti orologi e oggetti antichi diversi. All'interno sulle pareti in bianco tufo pugliese, ci sono pendoli di ogni forma e dimensione, tutti in movimento. Dietro il bancone ben illuminato e pieno zeppo di strumenti, c'è Domenico, chiamato Mimmo, un signore sulla sessantina d'anni, dall'aria mite e sicura di sè, dalla parlata rilassata e forbita. Lui conosce tutti i segreti dei grandi orologi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Gli orologi da torre in passato erano simboli della municipalità – ci dice - ma oggi non vengono più osservati, tranne quando non funzionano: chissà perché in quel momento tutti si accorgono delle loro presenza. E quindi sempre necessario un lavoro costante di controllo e manutenzione, sono macchine sempre in movimento soggette a un costante logorio a causa degli sbalzi di temperatura».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il signor Mongelli ci spiega inoltre che molti di questi orologi sono stati col tempo modificati e aggiornati con componenti più moderne per facilitarne la manutenzione, alcuni addirittura motorizzati elettronicamente. Rientra tra questi l'orologio della Provincia, costantemente esposto agli effetti corrosivi della salsedine fin da epoca fascista. «La vera peculiarità di questo orologio – sottolinea l’artigiano - è il carillon che lo accompagna e che può riprodurre tutti gli inni fascisti tra cui "Giovinezza". Ma ormai non funziona più e anche se spesso si è parlato di un suo restauro, ciò non è mai avvenuto perché ripararlo avrebbe un costo elevato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


A salvarsi dalla modernizzazione è l'orologio a tre facciate del palazzo della Prefettura in piazza Libertà. «Questo è l'unico in città a carica completamente manuale – ci confida Mimmo  - e per questo motivo io non posso allontanarmi molto da Bari, nemmeno per le vacanze, perché ogni 48 ore devo salire sul tetto a caricarlo». 

Le lancette in vista sulla facciata della Prefettura svolgono solo il lavoro finale di una serie di complicati ingranaggi meccanici, pesi e tiranti che si muovono sotto la direzione del moto regolare di un pendolo, il tutto senza l'aiuto della corrente elettrica ma solo con la carica trasmessa con una manovella dallo sforzo fisico del signor Mongelli e di suo cugino, che lo aiuta di tanto in tanto con il lavoro. Un piccolo quadrante è montato sull'ingranaggio, utile se necessario a regolare le lancette dei tre grandi quadranti esterni. La carica è data da un cavo a cui è legato un peso che scende giù in un pozzetto profondo quanto la lunghezza dell'intero palazzo. Scendendo, la carica si esaurisce e basta tirare su il peso con una manovella per poter ridare carica all'orologio, che per altre 48 ore segnerà l'ora esatta. 

Ma a quali epoche appartengono gli orologi da torre di Bari? «Risalgono in gran parte alla fine dell'800 e inizi del 900 - risponde Mongelli -. Non ce ne sono di particolarmente antichi come quello su cui mi è capitato di lavorare a Putignano, risalente al 1600».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Gli orologi sono il connubio perfetto tra fisica e meccanica e manovrarli richiede competenze specifiche. «Faccio questo lavoro da più di 30 anni, l'ho ereditato dal mio predecessore, il signor Garofalo, che prima di me l'aveva svolto per più di 80 anni», afferma l’orologiaio mentre ci indica un ingranaggio esposto nel suo laboratorio e da lui restaurato . «Questo è il vecchio ingranaggio dell'orologio della scuola Garibaldi in via Manzoni – spiega - risale alla fine dell'800 e l'ho recuperato giusto in tempo, perché buona parte dei pezzi in bronzo erano già stati smontati per essere venduti ai “ferri vecchi”». 

Ma non è l'unico pezzo storico salvato e restaurato dall'orologiaio barese, che ci racconta di un altro colpo degno di nota: «Dopo aver recuperato con fatica diverse informazioni, ho scoperto che il vecchio orologio della Camera di commercio, sostituito da uno più moderno, giaceva al buio e impolverato negli scantinati dello stesso palazzo di corso Cavour». Non il giusto riconoscimento per un vecchio macchinario che aveva scandito il tempo e segnato l'ora ai baresi per più di un centinaio di anni, probabilmente dal 1889, anno di insediamento dell'ente camerale. E non è sembrato giusto nemmeno a Mongelli, che l'ha restaurato riportandolo alla luce ed ora è esposto in una teca in plexiglass all'interno dell'atrio dello stesso Palazzo. 

La sua ammirevole attività non è passata inosservata e lo notiamo da due articoli di giornale incorniciati e appesi alle pareti in un angolo del laboratorio, sono ingialliti a dimostrazione del fatto che ne è passato di tempo da quando son stati pubblicati. «Parlano della mia proposta di istituire a Bari un "Museo del Tempo" – spiega Mimmo -. Tutte le grandi città ne hanno uno, ma purtroppo non se n’è fatto mai nulla».


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