di Dominga D'Alano

''Che lavoro fai?'': domanda in italiano, risposta in inglese
Sarà frutto della frammentazione del mercato del lavoro, della crisi o della globalizzazione, ma fatto sta che se un tempo alla domanda “che lavoro fai?” seguiva una risposta semplice, oggi spesso la risposta è tutt'altro che chiara e costringe l'interlocutore (se ne ha voglia) alla seconda domanda "che lavoro è?". Colpa (o merito) dell'invasione lessicale dei termini inglesi, spesso abusati al fine di nobilitare mestieri che altrimenti non sarebbero oggetto di tanto vanto.  

Si può partire da un classico della colonizzazione inglese: la parola "manager", entrata in ogni ambito professionale dando vita a originali specializzazioni. Se in origine il termine inglese serviva a dare peso al ruolo di dirigente, oggi si può essere manager di qualsiasi cosa. Si passa dal customer care manager (il lavoratore che si occupa della tutela del cliente) al return manager, la persona che semplicemente si occupa di ritirare le autovetture prese a noleggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma c’è anche lo store manager (il negoziante), l’office manager (colui che si occupa della segreteria) e l’account manager, l'audit manager, il payroll manager, il project manager.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Se ci spostiamo a lavori un pò più tecnici, anche qui l'inglese ha la meglio: si va dal personal trainer, che altro non è che un allenatore, al web editor, che si occupa della scrittura su internet e poi c'è l’account (il rappresentante), l'addetto al teleselling (la vendita telefonica), il backoffice specialist.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Senza dimenticare che per tutte queste posizioni è necessario inviare l’application, la candidatura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per Francesco Giacomantonio, sociologo presso l’Università degli Studi di Bari, questa  abitudine in ambito professionale, non solo è correlata alla «predominanza della cultura anglofona e della sua tradizione analitica, tecno-industriale e utilitarista, ma rappresenta anche un modo per non trovarsi esclusi da certe evoluzioni dell'economia, della comunicazione e della società. Il fenomeno - continua Giacomantonio -  deve far riflettere, se si pensa che anche in ambiti tradizionali, accademici ed editoriali, ci si definisce "contributors", si chiedono "follow up" di gradimento e "feedback"».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il dato è ancora più interessante se si pensa che, nonostante questa nutrita produzione lessicale, solo il 7 per cento degli italiani dichiara di conoscere bene l'inglese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
 


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  • Saverio - Del trash manager e del brand ambassador" ne vogliamo parlare? omg


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